LE PIU' POESIE DEL MONDO. SCRITTRICE MASTINO TIZIANA












  








Tiziana Mastino

 

Racconti di Fiaba

 

 

 

 



Note

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LETTERA

Salve a te mio piccolo lettore, sono fata scribacchina, il mio nome è Eloise. Sono la fata dei boschi, vivo al di là della foresta incantata insieme ai miei piccoli e cari amici folletti. Abitiamo all’interno di una cavità presente in un vecchio ulivo ultracentenario. Il mio compito è quello di scrivere dei fantastici racconti. Per portarli a termine dovete sapere ci son voluti diversi anni, ma grazie al loro aiuto son riuscita a portarli a termine. Sarei felicissima se tu dedicassi parte del tuo tempo alla lettura. Leggere è molto importante, poiché oltre ad imparare parole nuove,  ti aiuterà a rafforzare il rapporto di intimità con i tuoi genitori, che resteranno accanto a te mentre ti leggeranno uno dei racconti presenti nel libro, prima di addormentarti. Mi raccomando quando ti leggeranno i racconti tu chiudi gli occhi e fai un buon viaggio nel mondo della fantasia, scoprirai quanto è meraviglioso sognare. Un grande ciao dalla vostra fata scribacchina.

Fata scribacchina

 

 

 





FARFALLA AMINA E GLI AMICI DELLA VALLE INCANTATA

Tanto tempo fa, nella valle di Prato Fiorito, viveva una bellissima farfalla, di nome Amina.

Ogni giorno, la giovane farfalla trascorreva il suo tempo tra le vaste distese di prati, costellati da miriadi di fiori colorati e profumati.

Una mattina, dopo aver girovagato, in lungo e in largo l’immensa vallata, stanca, decise di fermarsi sulla riva di un piccolo torrente, per rinfrescarsi il viso accaldato e placare la sensazione di arsura.

Mentre s’apprestava a raccogliere dell’acqua fresca per dissetarsi, vide la sua immagine riflessa. La giovane farfalla rimase così ammaliata che si guardò e riguardò infinite volte.

In quel preciso istante la sua mente cominciò a fantasticare ed improvvisamente come un lampo di genio, le venne in mente una strabiliante idea. E farfugliando in modo confuso, ripete’ tra se esclamando: “Oh! Ma…se… si… organizzasse!! Certamente! Perché non fare…! Uh ..Ma… no!”

Poi spalancò i suoi grandi occhioni verdi, portò l’indice all’insù e ad alta voce urlò e disse: “Ma certo! Organizzerò una fantastica gara di bellezza, così gli insetti della valle potranno partecipare. Non vedo l’ora di comunicarlo a tutti quanti!”

Amina si mise a volteggiare felice per tutto il prato, saltando da un fiore all’altro e quando il sole cominciò a calare dietro le alte montagne aprì le sue grandi ali e spiccò il volo per far rientro nella sua dimora.

Durante la notte, non riuscì a chiuder occhio, pensando a come avrebbe potuto avvertire tutti i suoi amici.

Il giorno seguente andò subito a trovare al campo dei Gigli selvatici una giovane ape di nome Gaia, per riferirle la sua idea e chiederle aiuto.

Ape Gaia rimase ad ascoltarla con molta attenzione, ma non convinta su quanto le stesse proponendo, la interruppe per un attimo e disse: “Amina fermati! Capisci che non sarà per nulla facile!! Ci sarà gran lavoro da fare e da portare a termine. Se tu dovessi decidere di far tutto quello mi hai riferito, non potrai mai più tornare indietro! Questo lo capisci!”

La farfalla sicura della decisione presa, asserì che per nulla al mondo avrebbe mai rinunciato ad organizzare un evento così importante per tutti gli insetti della valle.

Le due amiche passarono il tempo a discutere. Quando giunse il momento di separarsi, si salutarono con l’intento che si sarebbero riviste. Dopo una stretta di mano le due di separarono.

Amina riprese il volo per andare alla ricerca di altre partecipanti. Mentre Gaia continuò a raccogliere il dolce nettare dei fiori.

Finalmente riuscì a raggiungere il campo delle grandi Rocce, dove viveva una Vespa Nera.

La giovane vespa viveva all’interno della cavità di un alto pioppo argentato, insieme alle sue amate sorelle. Tutte quante quella mattina erano impegnate nella costruzione della loro nuova casa. Vespa Nera pur essendo indaffarata, appena la vide arrivare, lasciò subito il suo lavoro per accostarsi da lei e chiederle la motivazione della sua presenza, alquanto insolita  . 

Farfalla Amina le spiegò che avrebbe voluto realizzare una gara di bellezza per tutti gli insetti che abitavano nella valle. La Vespa ascoltò con interesse la sua proposta ed accettò senza indugiare.

Vespa Nera incredula ma al tempo stesso compiaciuta per essere stata invitata, riferì tutto quanto alle sue amate sorelle. Anch’esse furono felici di poter darle una mano, qualora ce né fosse stato bisogno. 

Il tempo passò velocemente ed Amina si allontanò e le salutò con un cenno di mano.

Dopo un lungo battito di ali, riuscì ad oltrepassare il lato opposto della valle. Dall’alto vide una Dolce Libellula, che appollaiata sulla riva del torrente deponeva delle piccole uova.

Amina incuriosita s’accostò, senza dilungarsi troppo le comunicò che sarebbe stata lieta se anche lei come tutte le altre amiche, avesse partecipato al grande evento, che stava organizzando a Val di Prato.

Dolce Libellula dopo averla ascoltata, amareggiata rispose: “Mi dispiace ma non posso partecipare, poiché tra un po' di tempo avrò un gran da fare con i miei piccoli nascituri. Comunque ti ringrazio per avermi invitata e ti auguro buona fortuna!”

La farfalla la salutò con un abbraccio e riprese la sua ricerca. Stanca, decise di fermarsi a riposare sul petalo d’una margherita bianca. Mentre osservava l’immensa valle di Prato Fiorito, intravvide in lontananza una strana figura, nascosta tra i fuscelli d’erba e incuriosita si avvicinò.

Più s’accostava e più la figura le appariva limpida e chiara. Ed ecco finalmente presentarsi dinnanzi ai suoi occhi una giovane cavalletta che stava serenamente sdraiata sulla foglia di un bucaneve a prendere il sole. In bocca teneva stretto un sottilissimo stelo, che roteava da una parte all’altra.

Estasiata per averla incontrata si presentò davanti e la chiamò dolcemente pensando che fosse addormentata: “Rino, amico mio ,sono Amina!”

La cavalletta sentì la sua vocina e all’istante sollevò i suoi occhialoni neri e gettò via il fuscello che teneva tra i denti, poi con un balzo si mise in piedi difronte a lei.

Imbarazzata per la sua presenza le rispose: “Oh, Oh! Guarda, guarda che bella personcina ci si può incontrare per le strade del mondo! Dimmi mia bellissima farfalla! Che fai da queste parti? Qual buon vento t’ha portata sin qua giù!”

Amina si avvicinò alla giovane cavalletta ed iniziò ad abbracciarla e stringerla forte a se’, per la gioia di averla incontrata.

Poi iniziò a parlare velocemente dicendo: “ Oh come sono felice d’averti incontrato. Ti ho forse disturbato! Devi sapere che mentre riposavo sul petalo di una margherita in lontananza ho visto una figura. Allora mi sono chiesta perché non avvicinarmi!”

Poi si sedette al suo fianco, posò le zampette attorno al suo enorme collo e aggiunse: “Poiché ora son qui accanto a te, colgo l’occasione di darti una notizia. Vorrei che tu ascoltassi molto attentamente.” Rino cavalletta capì subito la sua intenzione ed aspettò finché non avesse terminato la sua lunga arringa.

Amina espose il suo lungo ed interminabile discorso dicendo: “Apri bene le orecchie ed ascoltami. Ho intenzione di organizzare una gara di bellezza a Val di Prato. Ho già parlato con Vespa Nera, Ape Gaia, Dolce Libellula e devi sapere che tutte quante son disposte a darmi una mano Che ne diresti se anche tu mi aiutassi! Son certa che saresti in grado di farlo! Poiché tu con un salto giungeresti per primo ad informare tutti gli insetti della valle. Solamente tu potresti farlo.>>

Rino Cavalletta pensò che fosse impazzita. Consapevole delle difficoltà che avrebbero potuto incontrare, Rino, cercò in tutti i modi di farla ragionare.

Lui non riuscì a capire la motivazione di tutto ciò. Che cosa balenava nella sua testolina. Forse non era soddisfatta di se stessa. Amina si mise a supplicarlo e ad inginocchiarsi davanti a lui.

Nonostante fosse contrario a queste manifestazioni, vide Amina così felice che decise di accettare.

Amina, non poté crederci, pensò che tutto ciò fosse veramente un sogno ed iniziò a baciarlo sul grande frontone, tante volte.

Rino rimase ammutolito, ma al tempo stesso lusingato per essere stato baciato dalla farfalla più bella della valle.

Per la gioia si mise a lanciare il suo pesante cappello verso l’alto e cominciò a saltellare come un pazzo.

I due amici, risero a crepapelle, sino a sentirsi male e cadere lungo il prato e non poter più riuscire a placare la loro grande euforia.

Rimasero insieme, ricordando il tempo passato; quando ancora piccoli giocavano sui prati di margheritine bianche, finendo quasi sempre imbrattati di fresco polline.

Il sole calava lentamente, per la bella farfalla era giunta l’ora di separarsi e rientrare ognuno nella propria dimora.

Amina prima di congedarsi abbracciò la robusta cavalletta e guardandola disse: “Ti ringrazio per aver accolto la mia richiesta. Ora dobbiamo salutarci, poiché si è fatta ora tarda. Ci vedremo molto presto, amico mio caro.”

Amina in tutta fretta spiccò il volo.

Mentre Rino Cavalletta rimase a pensare a come avrebbe potuto aiutare la bella farfalla a realizzare il suo sogno .

La mattina seguente Amina andò a trovare Lucciola di Stelle.

Dopo un lungo volo raggiunse il vasto bosco, dove ergevano alti faggi e pioppi frondosi, che disposti in maniera ordinata, ombreggiavano le rive del ruscello, dove la fresca acqua scendeva lenta bagnando gli argini. I suoi gorgoglii sembravano produrre musica.

Dall’alto vide la piccola e dolce Lucciola di Stelle che giocava con le sue amiche a nascondino, accanto ad un vecchio Pioppo Argentato. Amina le chiamò tutte quante a se. Poi spiegò loro il suo grande progetto e il compito che avrebbero dovuto svolgere.

Lucciola di Stelle e le sue amiche accettarono con tanta gioia, assicurando la loro presenza e il loro aiuto. Amina le ringraziò congedandosi. Aprì le sue grandi ali e poi si allontanò.

Tutto sembrava svolgersi nel migliore dei modi, tutte le sue proposte vennero accolte.

Durante il rientro intravvide dall’alto un cespuglio di rosa canina, cresciuto accanto ad un enorme quercia secolare, posto ai piedi del ruscello.

Amina si avvicinò verso il cespuglio, raccolse un piccolo bocciolo di rosa per posarlo sui lunghi capelli biondi e mentre cercò di staccare un bocciolo di rosa si punse il dito mignolo della mano destra. Una goccia di sangue finì in acqua, creando una macchia che pian piano di allargava.

Amina poco dopo sentì un forte dolore al petto e improvvisamente svenne in un sonno profondo.  La mattina seguente si risvegliò, dolorante e infreddolita.

Preoccupata, pensò subito ad un brutto presagio di morte. Come se il fato avesse deciso la sua sorte.

Al fine di allontanare dalla mente quell’orribile pensiero, decise di danzare in onore delle divinità dei boschi, per ottenere il loro aiuto e preservala da ogni male.

Angosciata lasciò immediatamente quel luogo nefasto e facendo ritorno nella sua dimora. Subito si rinfrescò e si cambiò d’abito, legò i suoi lunghi capelli con fuscelli di paglia, indossò delle nuove e morbide scarpette e in tutta fretta raggiunse la grande vallata, per trascorrere un intera giornata insieme alle sue amiche farfalle e dimenticare quanto le fosse accaduto il giorno precedente.

Amina decise di non raccontar nulla e tener il segreto per se.

Le giovani farfalle la accolsero con tanta gioia ed insieme svolazzarono da un fiore all’altro. Abile e astuta, non fece trapelare nulla, mostrandosi come sempre, leggiadra e sorridente.

La danza delle farfalle dai mille colori era così perfetta e ordinata, sembrava un vero e proprio spettacolo della natura.

Il profumo della terra umida e dei fiori, inebriava l’aria fresca e frizzante che giungeva da ponente.

La giornata passò talmente in fretta, che prima di accomiatarsi le une dalle altre, decisero di disporsi in cerchio e tenendosi per mano  intonarono una dolce melodia che diceva.:

<< Vola, vola in su e in giù,  Fino a che non ne potrai proprio più.

Gira, gira intorno a te Finché non incontrerai un bel Re.

Bello, piacente t’apparirà

Se il tuo bel sorriso

Per sempre resterà.>>

Passarono settimane, finalmente Amina decise di convocare nella sua dimora i suoi amici più cari, per definire l’intera organizzazione.

Pensò proprio a tutto, passò dalla scelta degli abiti, al luogo dove si sarebbe dovuto svolgere lo spettacolo, alla scelta del presentatore, all’orchestra, alle tende, alle luci, fino alla scelta dei fiori e alla loro disposizione lungo la passerella.

Amina chiedeva loro solamente una mano d’aiuto, poiché da sola non ce l’avrebbe mai fatta.

Rino acconsentì il suo appoggio e dopo di lui seguirono tutti gli altri insetti. Finalmente a Val di Prato si sentiva un aria di festa.

Molti insetti della valle come: <<formiche, calabroni, bruchi, cavallette, ragni, tarli, cicale e tanti altri>>, aiutarono Rino Cavalletta nella costruzione del grande palcoscenico.

Passarono alcuni giorni e i lavori di costruzione e abbellimento finalmente giunsero al termine.

La mattina seguente Amina e gli amici della valle furono pronti a dare inizio al grande evento.

Le amiche farfalle la raggiunsero nella propria abitazione per aiutarla nella scelta dell’abito.

Gli abiti delle giovani farfalle erano meravigliosi, i loro colori spaziavano dal giallo all’arancio, dallo screziato al fuxia, dal bianco al nero.

Un giovane e spavaldo Grillo Nero su consiglio di Rino, andò a prendere la bellissima Amina, con una magnifica carrozza, trainata da 4 topini bianchi, tutti ripuliti a lustro.

Essa venne costruita da un bravo mastro falegname, chiamato “Tarlo Grigio”, che con abile maestria trasformò un grosso tronco di betulla, in carrozza.

Con la restante parte del tronco venne ultimato il maestoso palcoscenico.

Grazie all’aiuto delle piccole formichine nere, che organizzate in doppia fila come soldati in marcia, fecero un eccellentissimo lavoro di trasporto, senza stancarsi mai, venne portato a termine.

Grillo Nero raggiunta la casa di Amina, aspettò con ansia per qualche minuto ancora fuori dall’entrata, finché non fosse scesa a basso, per condurla poi a destinazione.

Le farfalle l’aiutarono a tenere sollevato l’abito bianco affinché non si sporcasse.

Grillo Nero non appena la vide, rimase ammaliato ed estasiato per la sua bellezza. Le porse la zampetta, l’aiutò a salire sulla carrozza e poi si allontanò.

Le farfalle la videro andar via, e subito dopo si precipitarono anch’esse a prepararsi per il grande spettacolo.

In un batter d’occhio, Grillo Nero la portò a destinazione.

Le luci della ribalta gialle e verdi, prodotte dalle giovani Lucciole di stelle illuminarono il grande palco.

Il tendone rosso venne cucito dal famoso Ragno stilista. Che con grande maestria terminò il lavoro in tempo.

Sulla passerella vi era un lungo tappeto di fiori colorati e profumati, che tracciavano il cammino alle partecipanti.

Sui lati opposti del palco vennero posizionati due grossi cespugli di ibisco rosso. 

Mentre sul lato destro venne riservata una zona alla giuria, formata da: formiche, bruchi e lombrichi.

Il loro compito era quello di assegnare un punteggio a ciascuna partecipante e decretarne la vittoria.

Sul lato sinistro del palco vi era invece una grande orchestra composta da: grilli, cicale e cavallette.

Il pubblico si posizionò sulla parte frontale del palcoscenico.

La gara prevedeva la vincita dell’insetto più bello di Val di Prato. Quella mattina le partecipanti furono in gran fermento e con invidia si guardavano l’un altra l’abito che portavano indosso.

Amina raggiunto il palcoscenico, incuriosita decise di dare un occhiata da dietro le quinte, per vedere quanti avessero preso posto a sedere.

Rimase alquanto meravigliata per il gran numero di posti a sedere. Improvvisamente avvertì un brutto presentimento. Cercò in tutti i modi di allontanare i brutti pensieri.

E convocò subito a sé le giovani partecipanti, per proporre loro come presentatore della serata “Rino Cavalletta”.

Rino giunse in ritardo, a causa dei lunghi preparativi. Egli si sentiva così imbarazzato e goffo, che temeva di mostrarsi alla bellissima farfalla.

Portava in indossò un tight verde a coda, un gilè rosa ed un gigantesco papillon azzurro, che ricopriva interamente il grosso collo e delle lunghe calzette a righe orizzontali, blu, gialle e verdi.

Le scarpette nere avevano un enorme fiocco verde come il colore del gilè.

Sul capo, portava un cappello a cilindro verde, dal quale fuoriuscivano le sue lunghe antenne nere. Sembrava un vero e proprio damerino di corte.

Nella zampetta sinistra teneva stretto il suo violino e sulla destra una lunga bacchetta. Rino entrò dietro le quinte e non appena vide Amina con l’ abito bianco a strascico, rimase abbagliato e rivoltosi a lei emozionato disse: “Sei bellissima! Una meraviglia a guardarti. Solo il buon Dio, poteva generare una creatura così bella e perfetta.”

La farfalla arrossi nel sentire quelle dolci parole pronunciate dalla giovane cavalletta.

Rimase stupita nel vederlo così bislacco nel vestire, ma non le importava nulla, perché lo adorava così com’era. Perfino le partecipanti sorrisero nel vederlo così bardato, tutto agghindato a festa.

Poco dopo tutte quante decisero di allontanarsi e lasciarli soli a discutere.

Rino si sentiva alquanto ridicolo con quell’abito e rivoltosi ad Amina le domandò: “Pensi che quest’abito sia troppo stravagante oppure fuori moda? Dimmi la sincera verità, ti prego non mentirmi. Potresti rispondermi o dirmi qualcosa, anziché guardarmi in quel modo. Perché non rispondi?”

Amina sorrise con un sogghigno e avvicinandosi a lui si mise a guardarlo minuziosamente. L’unica cosa che teneva fuori posto era il papillon azzurro, che si era allentato.

Allora decise di stringerglielo un po' e rivoltasi a lui disse: “ Ecco! Tutto apposto. Ora sei perfetto. Direi che non sei affatto fuori moda. Penso che tu sia fra tutti gli insetti di questa valle, il più affascinante. Sei così buono, simpatico e generoso, hai delle qualità che ti rendono così speciale. Per me tutto il resto non conta. Tu sei così come sei.”

Rino nel sentire quelle ultime sue parole aggiunse: “Ti ringrazio, tutto ciò mi lusinga. ”

Amina provò in ogni modo a stuzzicarlo per farlo sorridere un po’, poiché sembrava un vero e proprio ebete. Poi rivoltasi a lui continuò a parlargli dicendo: “A parer mio… sei un vero principe, proprio come quello delle favole dei fratelli Grimm. Sei fantasticamente fantastico. Devi cercare però d’essere un pochino più disinvolto e meno impacciato.  Sembri però un ebete. Sorridi un po’!”

Rino Cavalletta ascoltò con molta attenzione le sue parole ed irritato esclamò:

“ Ricapitolando, prima affermi che io sono un principe, poi dici che sono un ebete. Poi ho sentito altre parole come: goffo, smorto. Dimmi che altro ancora? Amina mi stai forse prendendo in giro!!”

La bella farfalla sorrise e prima di congedarsi gli rispose: “Ma…è possibile che tu non capisca! Stavo assolutamente scherzando. Sai benissimo che non penso a tutto ciò. Però dovresti essere più disinvolto, ossia meno rigido e impacciato. Mettici un po’ più di allegria e sorridi. Non vorrai farti vedere dal vasto pubblico in questo modo. Sembri un manichino imbalsamato!”

Rino la fermò subito ed esclamò: “ Ok, va Bene! Ora basta però!” Amina lo spinse verso il grande tendone e gli ordinò di guardare all’esterno verso la platea, poi disse: “Guarda quanti sono! Ti saresti mai aspettato tutto questo? Gli insetti della valle hanno occupato tutti i posti a sedere. Forza amico mio, diamo inizio alla grande serata. Dimostriamo a tutti loro cosa sappiamo fare. Non pensare all’abito che indossi, perché va benissimo, più che altro pensa alla grande serata. Speriamo vada tutto bene.” 

Prima di allontanarsi da lui, gli diede una pacca sulla spalla ed aggiunse: “Forza e coraggio, mio caro! Ora andiamo a sistemarci il trucco. Forza non c’è più tempo!”

Entrambe rientrarono all’interno dei propri camerini per mettersi in ordine e rilassarsi prima di dare inizio allo spettacolo.

Rino si sedette davanti allo specchio per mettersi del cerone sul volto, quando ad un tratto sentì giungere sino alle narici un delicato profumo di rose romanze.

Decise allora di seguire la dolce fragranza per capire da dove arrivasse. Allora provò ad avvicinarsi nel camerino di Amina. Aprì la porta e la vide seduta davanti allo specchio che si riassettava i capelli e si spargeva il dolce profumo.

Come impazzito l’afferrò per un braccio e la baciò.

Non riuscì a resisterle. Le sue labbra sapevano di dolce e puro miele. Con delicatezza le spostò il boccolo che scendeva lungo la fronte e stringendola a se le sussurrò con voce flebile: “Amina, mia piccola e dolce farfalla! Perdonami, ma non sono riuscito a contenermi. Il tuo profumo mi inebria e mi confonde.”

Rino chinò la testa e la liberò dalla morsa delle sue zampette. Amina imbarazzata cercò di farlo tacere posandogli l’indice sul musetto e disse: “Sciocca e adorabile Cavalletta pazza. Non parlare più. Io non ho mai incontrato nessun altro animaletto, come te. Sembri così rude e grossolano dall’aspetto, ma sei così dolce e gentile. Come posso non amarti. Tu sei per me l’insetto più importante.”

Rino Cavalletta rimase imbarazzato e con tono pacato le rispose: “Ho capito! Ma ora non continuare più. Diamo ora inizio alla gara.

Sei pronta?”

Farfalla Mina sentì il suo cuore pieno di gioia, lo prese sotto il braccio ed esclamo: “Si sono pronta! Diamo inizio al grande spettacolo. Vedrai tutto andrà bene!”

Il sole stava ad osservare sorridente dall’alto, brillava come non mai, illuminando l’intera valle. Lo spettacolo ebbe inizio e tutti gli invitati avevano già presero posto a sedere.

Rino Cavalletta e Farfalla Amina uscirono dal camerino e insieme alle altre partecipanti si disposero dietro le quinte dividendosi nei due lati opposti.

Rino Cavalletta fu il primo ad entrare in scena e si posizionò al centro del palcoscenico, tenendo in mano il suo un magico stradivari.

Le libellule disposte ai lati opposti del palcoscenico iniziarono ad aprire molto lentamente l’enorme tendone creato da Ragno Stilista, per rendere la scena ancora più sorprendente.

Rino apparve in piedi davanti al grande pubblico con in mano il suo stradivari. Prima di iniziare aspettò ancora per qualche minuto, finché le luci non si fossero abbassate.

Scese il silenzio completamente e le magnifiche melodie di Bach e Beethoven, riprodotte dal violino di Rino iniziavano a riecheggiare per tutta la valle.

Il vasto pubblico rimase incantato ad ascoltare quelle sognanti note.  Terminata la sua performance, Rino ringraziò il pubblico con un inchino prima di congedarsi. Poi consegnò lo strumento alla giovane Mantide religiosa, che con grande gioia partecipò al grande evento. Il pubblico entusiasta si alzò in piedi e fece un lungo plauso.

Rino convocò a sé tutte le partecipanti sul palco, una per una, chiamandole con il loro nome.

Ogni insetto mostrò il proprio abito. La prima a presentarsi al pubblico fu Ape Gaia che con giovialità indossava un semplice abito corto, a strisce gialle e nere, impreziosito da un morbido pellicciotto dorato posto sul collo e sui polsi.

Le splendide scarpette nere le permisero di muoversi leggiadramente sul grande palcoscenico al suon di musica. La giovane ape ottenne dalla giuria un buon numero di voti.

Arrivò il momento di Vespa Nera. Insetto di ineguagliabile eleganza, che con il suo abito lungo e nero, stretto in vita da una cinta gialla, metteva in evidenza i suoi sottilissimi fianchi e le sue lunghe gambe. La giuria non apprezzò il modo di presentarsi così sfacciato e frivolo ed ottenne così pochissimi voti.

Fu il momento di Dolce Libellula, che tra tutte le partecipanti era la più piccola. La libellula mostrò  pubblico il suo abito appariscente con colori cromati che variavano dal blu alla lavanda, dallo scarlatto al rosa, con una sfumatura come quella di una fiamma e le sue doppie ali trasparenti e luminescenti .

La giuria e il pubblico, assegnò a Dolce Libellula il secondo posto e ad Ape Gaia il terzo posto. 

Alla gara parteciparono tanti altri insetti come: coccinelle, lombrichi, mosche nere e verdi, zanzare e falene, calabroni.

Ultima fra tutte le partecipanti a mostrarsi al grande pubblico fu farfalla Amina. Il grande tendone si riaprì e al centro del grande palco si presentò la bella farfalla, con un abito di tulle bianco a strascico. Le sue  grandi ali ricoperte da una lieve porporina luminescente vennero illuminate dalle lucciole di stelle, creando così una scena fantastica. Le morbide scarpette a punta bianche permisero ad Amina di volteggiare su se stessa in modo armonico seguendo le magnifiche note di Beethoven prodotte dallo stradivari di Rino Cabaletta.

La danza fu accompagnata dal canto delle cicale, dei grilli canterini. Il pubblico impazzì per la bella farfalla e soddisfatto per la sua performance si alzò in piedi ad applaudirla.

Nessuna delle partecipanti riuscì a competerle. Persino la giuria andò in delirio e non esitò ad aggiudicare Amina, vincitrice della gara.

L’unica tra le partecipanti ad ottenere il massimo dei voti, non solo per il colore dell’abito ma anche per la grazia e la raffinatezza delle sue movenze fu la bella Amina.

Rino soddisfatto per la vincita della sua amata, sollevò l’esile zampetta in segno di vittoria, e rivolgendosi ai presenti disse: “Oggi…miei cari amici è un gran giorno. La vincitrice della gara è  Amina. Metterò io stesso la corona sul capo della bellissima reginetta.”

Si girò verso Amina, le posò la corona sul capo e rivolgendosi nuovamente al pubblico aggiunse indicandola: “Ecco a voi, l’insetto più bello e più aggraziato di Val di Prato. La vostra Amina! La più bella tra tutte le partecipanti. In questa valle, non esiste altro insetto che possa eguagliarla.”

Amina si riposizionò al centro del palco e si inchinò più volte a ringraziare il pubblico.

Una lacrima di gioia scese lungo il suo viso e soddisfatta s’accostò a Rino baciandolo dolcemente sul frontone. Rino rimase immobile ed incredulo, ma felice per essere stato baciato da lei.

Il pubblico si alzò in piedi per una seconda volta ed urlò a gran voce il suo nome.

Dietro al palcoscenico Ape Gaia e Dolce Libellula iniziarono a litigare, per il punteggio ottenuto.

Ape Gaia riuscì ad ottenere il terzo posto, avrebbe potuto sicuramente avere il secondo dopo Amina, se non fosse stato per Dolce Libellula, che in un primo momento declinò l’invito, ma poi si presentò alla gara, senza avvertire nessuno.

Persino le altre partecipanti si inserirono nel litigio, creando così un grande scompiglio.

Il fato volle che a causa del ronzio provocato dal litigio degli insetti, richiamasse a se l’attenzione di un grosso corvo che si trovava a sorvolare intorno al grande Pioppo Argentato, in cerca di cibo. Improvvisamente, il cielo si fece cupo e scuro. Un forte vento provocato dal movimento delle sue enormi ali, spazzò via gran parte dei fiori che ricoprivano la lunga passerella del palcoscenico.

Il rosso tendone cucito dal Ragno Stilista con meticolosa pazienza e maestria venne completamente stracciato via dal corvo.

Ape Gaia e Dolce Libellula impaurite, terminarono il loro litigio. Entrambe volarono via, in direzioni diverse, al fine di cercar un riparo sicuro, per paura d’esser prese.

Rino Cavalletta che dal palco lo vide sorvolare minaccioso, non esitò un secondo a richiamare alcuni insetti che stavano fermi a conversare ed ad altri che rimasero come incantati ad osservare il Corvo, ignari del pericolo.

Rino preoccupato urlò disperatamente con tutte le sue forze, per avvertirli del pericolo, sembrava non ascoltassero per nulla.

Allora prese una tromba d’angelo e inizio a urlare: “ Nascondetevi vi prego o finirete all’interno delle sue grandi fauci. Andate via...cosa state aspettando!”

Non appena terminò le ultime parole, il corvo si scagliò su di loro e se li mangiò in un sol boccone.

Rino chiuse gli occhi, poi si gettò terra e per la rabbia iniziò a dare fino a ferirsi le zampette. Disperato si mise a cercare Amina da ogni parte, ma non la trovò.

Mentre il corvo si aggirava attorno al palco, Rino decise di star fermo per non farsi notare, dietro l’albero di Acacia, non lontano dal palcoscenico. Pensò allora di salire sul ramo più alto della pianta per avere una buona visione e capire dove fosse finita Amina.

Dall’alto Rino notò che sul lato sinistro del palcoscenico vi era nascosta Amina, nel sottopalco. Le sembrò che fosse immobilizzata per la paura ed accanto a lei fossero posate a terra la corona e lo scettro.

Rino sentì un rumore di passi veloci, chinato lo sguardo verso il basso vide Lucciola di Stelle, che scappava in tutta fretta.

Allora decise di chiamarla, invitandola a salire di sopra al fine di nascondersi dietro le spesse fronde.

Una volta raggiunta la sommità la giovane lucciola lo ringraziò.

Rino le confidò d’essere preoccupato per la sorte di Amina e le chiese se potesse inviarle dei piccoli segnali di luce, per farle capire la loro posizione. Lucciola di Stelle inviò subito dei segnali, Amina appena li vide capì che potesse essere stata solo lei ad inviarli. Allora prese la decisione di allontanarsi da quel luogo.

Cercò di fuggire via anche se in quel momento ebbe il sentore che le sarebbe accaduto qualcosa di grave.

Rino Cavalletta ringraziò la piccola lucciola e in tutta fretta saltò giù dalla pianta per precipitarsi da lei e portarla via con se. Ma durante il tragitto venne visto dal corvo che in un attimo lo scaraventò lontano con un colpo d’ala.

Amina vide tutta quanta la scena allora cercò in tutti i modi di farsi notare ed inziò ad urlare a gran voce: “ Hei! Sono qui, vieni a prendermi, se ci riesci.”

Certa che si sarebbe rivoltato contro di lei, chiuse gli occhi per paura e rannicchiandosi su se stessa, cercò di proteggersi all’interno delle sue grandi ali.

Il corvo attirato dallo scintillio delle ali piombò su di lei in gran velocità e l’afferrò portandola via con se.

Quel luogo era divenuto oramai un deserto. Tutti gli insetti della valle erano fuggiti via.

Dolce Libellula che stava nascosta tra i cespugli di mirto, vide quanto accaduto, ma non poté far più nulla per aiutarla. Preoccupata, si mise ad urlare: “Nooo! Amina che hai fatto!!. Se puoi liberatene, vola via e vieni verso di me.”

Amina sentì le sue parole, cercò in tutti i modi di liberarsi, ma era  intrappolata tra i grossi artigli. Provò pian piano a dimenarsi fino a scivolar via , fino a che riuscì a liberarsi.

All’istante apri le sue grandi ali e spiccò il volo per dirigendosi verso la giovane amica.

 

Ma il Corvo Nero non appena si accorse, la raggiunse senza lasciarle scampo. Questa volta durante la presa un grosso artiglio le si conficco nell’ala destra, ferendola.

Amina non sentì subito il dolore all’ala, ma provò comunque una seconda volta a liberarsi, ma non riuscì. Allora decise di rinunciare all’ala ferita e con forza la strappò via dall’artiglio, vedendosi poi precipitare a terra accanto al grande ulivo ultracentenario.

Durante la caduta la bella farfalla colpi il capo a terra e perse conoscenza. Il brutto presagio stava per compiersi.

Sopraggiunta la notte, tutti gli insetti della valle oramai avevamo trovato un riparo sicuro: sotto terra, dentro le fessure degli alberi, altri ancora sotto i sassi e dietro i cespugli di cisto.

Del grande palcoscenico non rimase più nulla. Tutto fu completamente distrutto. Corvo Nero non volle rinunciare alla sua bellissima preda e andò a riprendersela.

Iniziò a girarle intorno, come fanno le api con il miele, creando un gran vortice, poi pian piano planò sino a discendere a terra e posarsi al suo fianco.

Rimase accanto a lei, senza spostarsi mai. La giovane farfalla dopo un po’ tempo si riprese, aprì gli occhi e vide accanto a se il brutto corvaccio. Sperava tanto che prima o poi si allontanasse da lei, per fuggire via.

Un giovane ed incauto coleottero passò per caso nelle vicinanze a cercar riparo, vide un cespuglio di alloro ci si intrufolò all’interno.

Il Corvo sentì uno strano fruscio di foglie provenire proprio da quel  cespuglio posto proprio di fronte a lui; incuriosito si avvicinò, infilò l’enorme testa e non appena lo vide tra gli steli, aprì il suo lungo becco e se lo mangiò in un sol boccone.

Amina ebbe paura di fare la stessa fine, allora cercò di fuggire via, trascinando il suo esile corpicino con molta difficoltà.

Il Corvo immediatamente la fermò con la sua enorme ala ed irritato le sussurrò: “Non farlo mai più o ti pentirai d’essere nata! Tu non potrai mai scappar via da me. Sai perché? Perché tu ora mi appartieni !”

Amina con le lacrime agli occhi e con voce fioca  si rivolse al Corvo e rispose: “Perché fai tutto questo? Cosa vuoi da me? Lasciami andare, ti prego!”

Il Corvo la guardò con guardò intenso e cupo e disse: “Tu mia cara farfalla verrai con me. Staremo per sempre insieme.”

La farfalla con le lacrime agli occhi rispose: “Tra noi non ci potrà mai essere nulla. Siamo così diversi. Tu sei un grosso uccello ed io una semplice farfalla. Lasciami andare ti prego e te ne sarò riconoscente.”

Il Corvo con voce roca le rispose: “Non voglio e non posso lasciarti andare. Tu resterai per sempre insieme a me. Ti porterò lontano da qui, oltre le alte vette. Dove tu sarai la mia regina.”

Amina cercò in tutti modi di farlo ragionare e disse: “ Perché non hai ucciso anche me, come hai fatto con altri? Che ho di diverso?”

 Il Corvo Nero non diede nessuna risposta. Triste e priva di forze, non riuscì a risollevarsi da terra. Il dolore diventò sempre più forte. Nel frattempo Ape Gaia che si trovava all’interno di un mughetto bianco cresciuto sotto il cespuglio di alloro, aspettava il momento giusto per allontanarsi.

Consapevole del pericolo, prese coraggio e si allontanò per andare alla ricerca di Rino ed informarlo dell’accaduto.

La piccola ape si aggirò senza una meta precisa. Per il lungo vagare si fermò a riprendere fiato e riposarsi un po’ sotto una foglia di viburno e lì s’addormentò.

Dopo alcune ore, una goccia d’acqua cadde sul volto di Gaia e spaventata si svegliò di soprassalto. Poi si spostò per andare alla ricerca di fiori freschi e rifocillarsi di buon nettare.

Soddisfatta riprese il volo e continuò a cercarlo. Durante il tragitto dall’alto vide un’enorme montagna di foglie secche, disposte accanto ad una folta siepe di felci.

Stranamente le parve di vedere che le foglie si muovessero, pur non essendoci vento. Stranita decise di accostarsi, ma ebbe paura di dare un occhiata. Aspettò per un po', poi prese coraggio e si mise a spostarle, pensando che là sotto vi fosse qualche insetto nascosto.

Ape Gaia si mise ad urlare: “ C’è qualcuno qua sotto! Esci fuori!

Fatti vedere!”

Una voce fioca rispose:

“Sono io!” rispose Rino

“Io chi?” aggiunse l’ape.

“ Rino Cavalletta!” rispose Rino.

Ape Gaia incredula, ma al tempo stesso felice per averlo ritrovato rispose: << Rino, sei tu! Ora ti tiro fuori. Aspetta! Non ti muovere.

Provo a spostare tutte queste foglie.>>

La giovane ape riuscì con tenacia a spostar via un’interminabile montagna di foglie secche, senza mai fermarsi, aprendo così un varco di luce.

Finalmente vide sbucar fuori una zampetta, l’afferrò e con tutte le forze lo tirò fuori.

Rino apparve completamente impolverato e sporco.

Il suo stravagante abito era rovinato. I due appena si videro si abbracciarono.

Rino le riferì che mentre cercava di salvare Amina portandola via, il Corvo lo colpì con la sua enorme ala, scaraventandolo lontano, tanto da farlo finire sotto un enorme mucchio di foglie, diventando poi il suo unico rifugio. 

I due si allontanarono e andarono alla ricerca di un posto più sicuro. La cavalletta nonostante fosse ferita alla spalla a causa della caduta, prese su di se la piccola ape.

Durante il tragitto elaborarono un piano di difesa per liberare Amina e tutti gli insetti della valle, dalla presenza del terribile Corvo.

Oltrepassato il torrente, Rino trovò un luogo sicuro, per riposare un po' e riprendere fiato e forze. Con delicatezza posò a terra. la piccola ape. I due si sedettero sopra un grosso masso e passarono del tempo insieme a conversare. Rino decise di confidare ad Ape Gaia il grande sentimento che provava per la giovane farfalla. Gaia gli confidò d’averlo intuito già da tempo.

Gli fece persino capire che non sopportava la sua testardaggine e il fatto che tutti gli insetti della valle fossero sempre pronti ad esaudire ogni sua richiesta o desiderio, ad ogni costo. Riteneva d’essere testarda e ammaliatrice.

Ma nonostante ciò l’apprezzava, per la sua dolcezza e la sua ingenua vitalità.

Rino le spiegò che proprio a causa della sua ingenuità, sentiva in cuor suo il dovere di proteggerla.

I due amici s’accorsero di aver fatto tardi e si misero nuovamente in cammino.

Finalmente Rino saltellando velocemente riuscì a raggiungere il campo dei Gigli Selvatici e con l’aiuto di Ape Gaia riuscì a radunare a sé sciami d’api, vespe nere e calabroni.

Tutti insieme organizzarono un piano di difesa per uccidere il terribile corvo che aveva causato centinaia morti.

Gli sciami nonostante avessero la consapevolezza di perdere la propria vita in combattimento, non avrebbero mai rinunciato alla difficile impresa, in difesa non solo della bella farfalla ma anche di tutti gli abitanti della valle.

Giunta notte la bellissima luna piena illuminò l’intera valle

L’ enorme sciame guidato da Ape Gaia e Rino si mise in volo. Il forte ronzio prodotto dalla nuvola in movimento si diresse verso il vecchio ulivo, dove si trovava Corvo Nero e la povera Amina.

Il corvo dopo aver sentito il forte ronzio delle api e delle vespe sollevò lo sguardo verso il cielo e lo vide arrivare. Prima di allontanarsi da Amina avvicinò il suo lungo becco al suo orecchio e con tono minaccioso disse: “ Guarda i tuoi amici stanno arrivando a salvarti. Questi non hanno capito con chi hanno a che fare. Sicuramente, mi divertirò a fargli fare una brutta fine.”

Amina cercò di fermarlo tenendogli la zampa e rispose: “Ti prego farò tutto quello che vuoi, ma non ucciderli. Verrò con te, ma lasciali in pace.”

Il Corvo allontanò la sua zampetta e disse: “Devo andare. Aspettami! Non ti muovere per nessuna ragione al mondo! Ricorda mia dolce farfalla, che tu non sei in grado di allontanarti. Per cui stai molto attenta.Poiché se tu lo dovessi fare, io ti raggiungerò molto tempo prima che tu spossa allontanrti. Ricorda bene che in questa valle non rimarrà vivo più nessuno! ”

Il Corvo aprì le sue grandi ali nere piumate, spiccò il volo e si diresse contro lo sciame, senza alcun timore, certo di vincere la sua battaglia.

Nel frattempo, Rino Cavalletta rimase nascosto sotto un grosso cespuglio di more, finché il corvo non si fosse allontanato.

Giunto il momento propizio si allontanò per andare a riprendere Amina. Raggiunto il luogo dove si trovava la farfalla. Sconvolto nel vederla in quello stato, priva della sua ala, con gli abiti completamente rovinati e in uno stato di semi incoscienza, Rino senza aspettare un sol secondo in più la prese tra le sue zampette e la portò via con se saltellando, in tutta velocità.

Rino sentì il suo esile corpicino freddo. Allora gli venne in mente di trovar subito un riparo. Finalmente vide un piccolo antro in una pianta di fico e vi entrò. E posò Amina su un letto di foglie finché non si fosse ripresa. Poiché il suo corpicino era molto freddo si mise accanto a lei riscaldandola con il suo corpo e con delle foglie.

Dopo essersi ripresa, le  rinfrescò la fronte e le diede dell’acqua fresca. Lo sguardo catatonico di Amina, lo impietosì. Disperato decise di riprendere il percorso e tenendola stretta tra le zampette superiori, raggiunse l’albero d’acacia, dove l’aspettava Mantide Religiosa. 

Finalmente arrivò a destinazione, attraversò una fessura presente nella pianta e delicatamente la depose sopra un morbido letto ricoperto di petali di rosa profumati, che avevano preparato tempo prima Mantide Religiosa e Ape Gaia, in precedenza avvertite da Rino.

Disperato rimase al suo fianco finché’ non si fosse ripresa.

Qualche attimo dopo Amina riaprì gli occhi e appena lo vide allungo la zampetta per accarezzargli il viso, ma le forze non le permisero di farlo. Con voce flebile Amina si rivolse a lui e disse: “Dove mi trovo! Perché sono qui?”

Rino cercò in tutti i modi di mostrare la sua preoccupazione e rivoltosi a lei rispose: “Mina… amor mio! Ora sei all’interno di un albero d’acacia . Ti ho portata qui per proteggerti e tenerti lontana da lui. Son riuscito a prenderti perché il corvo ora è intento a lottare contro un grande sciame. Mi son dovuto fermare prima nell’antro di un vecchio albero di fico, perché hai perso conoscenza e il tuo corpicino era freddo. Devi sapere che insieme ad Ape Gaia e ad altri insetti della valle abbiamo organizzato un piano di difesa per ucciderlo e liberare la valle da quel mostro. Starò con te ancora per poco, ma poi dovrò andare ad aiutarli.”

Amina si rivolse a lui con le lacrime agli occhi disse: “Ti prego, non andare! Il corvo potrebbe ucciderti. Perché rischiare la tua vita. Ti scongiuro resta qui con me. Ho bisogno di te!”

Rino le accarezzò il pallido viso, la baciò sulla fronte e le prese la zampina destra e prima di allontanarsi rispose: “Ascoltami, ti prego! Mantide religiosa resterà a tenerti compagnia. Ora però devo andare perché lui potrebbe ritornare a cercarti. Ed io non voglio che lui venga a riprenderti per portarti via.

Non è questo il momento giusto, ma avrei dovuto dirtelo tempo fa. Questo perché non ho mai trovato il coraggio di dirtelo, per paura d’essere rifiutato. Tu per me sei l’essere più incantevole che io abbia mai conosciuto. Io ti amo e ti amerò per sempre. Aspettami!”

Prima di allontanarsi la baciò sulle calde labbra e saltò via.

Nel frattempo Corvo Nero si scagliava contro le api e le vespe, difendendosi con tutte le sue forze.

Rino Cavalletta raggiunse finalmente gli sciami. Quando da lontano, vide il corvo combattere come una furia ed una moltitudine di insetti stesi a terra morenti. Nonostante il corvo fosse ricoperto da migliaia di pungiglioni, egli continuava il combattimento. Dopo ore di lotta, stanco e ferito non riuscì più a reggere il peso e cadde a terra in posizione supina, con le ali aperte ed il becco rivolto verso l’alto.

Il suo corpo era completamente tumefatto, quasi irriconoscibile. Vespe, api e calabroni furono felici di aver eliminato il corvo, pur avendo perso alcuni di loro la vita.

Rino andò verso di lui per accertarsi che fosse realmente morto, ma quando si accorse che ancora respirava, si allontanò per la paura.

Il corvo aprì i suoi grandi occhi rossi come fuoco e rivoltosi alla giovane cavalletta con voce roca disse: “Vai a riprenderti la bella farfalla, se fossi sicuro di restar vivo, stai sicuro che l’avrei portata via con me. Ma ora però ti chiedo di uccidermi. Non farmi morire di stenti. Uccidimi ti prego.”

Rino pur avendo la rabbia nel cuore e per essere stato questo un giorno così nefasto, decise di non farlo soffrire di stenti.

Andò alla ricerca di un tronco appuntito all’estremità, poi chiamò a se il gruppo di calabroni e vespe per aiutarlo a sollevarlo. Poi con  impeto lo conficcarono al centro del petto del grande Corvo Nero .

L’urlo liberatorio di Rino, riecheggiò sull’intera valle.

Il corvo finalmente venne ucciso. Il suo corpo fu trasportato verso un dirupo, che stava distante da lì mille piedi e poi fu gettato via.

Gli insetti che per lungo tempo rimasero nascosti, furono avvertiti della morte del corvo da Ape Gaia. Allora pian-pianino, uno dopo l’altro uscirono dai loro nascondigli e l’intera valle finalmente riprese a vivere.

Ape Gaia e Rino Cavalletta felici per essere riusciti nel loro intento ringraziarono tutti coloro che parteciparono al combattimento.

Ape Gaia comunicò agli abitanti della Valle di Prato Fiorito che non si sarebbe mai più svolta, nessuna gara di bellezza e nessun altro tipo di manifestazione, poiché molti insetti per questo motivo persero la propria vita.

Ape Gaia terminato il suo discorso, lasciò il posto a Rino Cavalletta, che continuò a raccontare quanto fosse accaduto.

La piccola ape, nel frattempo si precipitò nel nascondiglio dove si trovava Farfalla Amina.

Giunta all’interno dell’albero d’acacia, vide Amina pallida e agonizzante, con accanto Mantide religiosa che liberava la fronte dai lunghi capelli umidi.

La fronte di Amina scottava per la febbre. Ape Gaia le rinfrescò il viso e la liberò dalla folta coltre di foglie che la ricopriva.

Nel vederla così sofferente s’intristì. S’accostò al suo viso e con un fil di voce le sussurrò: “Amina, riesci a sentirmi. Son venuta a comunicarti che il Corvo è morto. Tutta la valle è stata liberata. Ora non dovrai mai più preoccuparti.”

Farfalla Amina nel sentire quelle parole emise un sospiro di sollievo, le prese la zampetta stringendola forte a se e poi si riaddormentò. La piccola ape le rimase accanto senza mai spostarsi.

Dopo un po’ di tempo, Rino stanco e affaticato, rientrò all’interno dell’albero d’acacia, con ancora gli abiti e le zampette sporchi di sangue. Il suo bell’abito era irriconoscibile.

L’immagine che si presentò davanti ai suoi occhi era veramente raccapricciante. Ape Gaia stava accanto ad Amina che le rinfrescava la fronte, mentre Mantide religiosa piangeva asciugandosi gli occhi, dinnanzi al suo capezzale.

Improvvisamente una lacrima scese lenta lungo il viso di Rino, tracciando un solco, fino a scendere lenta a terra.

Nonostante fosse stanco, decise di prenderla in braccio e portarla all’aperto per farla respirare un po’.

Si sedette sopra un grosso masso accanto al grande albero e tenendola tra le braccia cominciò ad accarezzarle il viso.

Rimase a guardarla finché Amina non avesse riaperto i suoi splendidi occhioni verdi.

Dopo un po' di tempo la bella farfalla si svegliò trovandosi avvolta tra le sue possenti zampe.

Rino Cavalletta vide il suo viso sofferente e in quel momento ebbe un brutto presentimento. Allora cercò di rassicurarla e non farle capire la sua preoccupazione e disse: “Amore mio. La valle è stata liberata. Siamo riusciti ad uccidere Corvo Nero. Ora non dovrai aver più timore di lui. Io starò sempre accanto a te, non ti lascerò ma più sola.” 

Poi le indicò l’orizzonte e disse: “Guarda Il sole sta sorgendo! E’ giunta l’alba e i raggi del sole tra un po' scalderanno la terra.” Amina voltò lo sguardo a levante e a fatica rispose: “ Si! E’ bellissimo.”

E stringendosi sempre più al suo petto continuò dicendo: “ Sembra annunciare una nuova rinascita. Vorrei stare accanto a te per sempre. Grazie perché hai salvato l’intera valle. Sono orgogliosa di te.”

Per un attimo Amina si fermò a riprendere fiato ed aggiunse: “Sono molto stanca…le forze non mi reggono più. Amore, non penso d farcela. Mi sento debole.”

Mentre Ape Gaia che stava a conversare con Mantide religiosa, Amina volle liberare il suo cuore e rivolgendosi a Gaia disse: “Devo essere sincera con te e voglio confessarti che ho provato un’accecata gelosia nei tuoi confronti. Tu possiedi qualità che io non ho. Sei sempre allegra, spensierata e laboriosa. Qualità che molti apprezzano e che io non possiedo. Ho sempre pensato che Rino fosse attratto da te, vedo che passate molto tempo insieme. Spero anzi vorrei essermi sbagliata. Poiché sicuramente non ci sarò più. Ti prego, Ape Gaia prenditi cura di lui e proteggilo, come hai fatto sempre.”

Ape Gaia le riferì che Rino per lei era solo un amico e provava nei suoi confronti solo una certa simpatia. Poi le confidò che anche lei provò nei suoi confronti gelosia ed invidia, non solo per la sua bellezza, la sua raffinatezza, ma anche per l’attenzione che riusciva ad ottenere da tutti quelli che gli stavano attorno.

Amina ascoltò Gaia e rispose dicendo: “ Ma io non ho mai chiesto, nulla, più di quanto loro mi abbiano dato.”

Amina continuò suo discorso e disse: “OH, amici miei! Tutto sta giungendo al termine. Non so se siate a conoscenza, ma quando una farfalla perde la sua ala, ha vita breve. Tutto questo non sarebbe mai successo, se non fossi stata così sciocca ed incosciente. Non avrei dovuto organizzare quella stupida gara di bellezza. Ho pensato solo a me stessa.”

Entrambe le ordinarono di non pensarci più, perché oramai era tutto finito.   

Amina desiderava liberare il suo cuore e continuò il suo discorso dicendo: “La mia superbia è andata oltre. Volevo mostrare a tutti che l’insetto più bello della valle ero io e nessun altro. Capite, IO! ” Rino Cavalletta sentendo quelle parole rimase impietrito ed esclamò: “Dolce amor mio! Tu sei l’insetto più bello della valle. Questo è certo! Ma ora cerca di riposare! Basta ti prego non pensarci più. Riposati ora e stai tranquilla.”

Nonostante Rino le avesse detto di non affaticarsi, continuò a parlare dicendo: “Come posso star tranquilla e riposare, con questo peso che sento addosso. Molti insetti son morti per causa mia.”

Rino Cavalletta sentì il desiderio di baciarla e la baciò.

Quel bacio sembrò non finire mai. Prese il suo viso tra le mani e guardandola disse: “Tu non hai colpa di nulla. Le cose accadono, perché devono accadere. Ricordi, quando Corvo Nero sentì quel forte brusio provocato dal litigio delle partecipanti! Tutto accadde da quel preciso istante. Ma nessuno poteva prevederlo. Allora, la colpa è anche la mia e di tutti coloro che ti hanno aiutata a realizzare il tuo sogno. Lo abbiamo fatto per te. Come potevamo non esaudire un tuo desiderio.”

Amina morente, cercò di pronunciare le sue ultime parole: “ Ho paura. Abbracciami ti prego, tienimi forte a te.. Sento tanto freddo, le forze mi stanno per abbandonare. Non voglio entrare nell’oscurità e non vederti più, dolce amore mio.”

Amina cominciò ad ansimare e a respirare con difficoltà e rivoltasi a lui disse: “Il… mio destino… è stato segnato da tempo.  Devi sapere che una mattina mentre mi accingevo a raccogliere dei boccioli di rosa canina, mi punsi il dito  ed una goccia cadde nel ruscello creando una macchia che si allargava sempre più. Come se avesse voluto anticipare la funesta sorte.”

Ad Amina iniziarono a mancare le forze, un forte dolore giunse al petto e voltando lo sguardo al cielo urlò:

“Mia amara sfortuna!! Perché vieni ora… a beffarti di me e tu mia cara vita perché’ mi abbandoni! Come puoi spezzare questo dolce incantesimo. Ma se io dovessi venir via con te, ti prego, lascia ch’io ti segua, senza sentir alcun male. Fai in modo che il mio spettacolo…finisca ora e mi conduca ad un nuovo inizio, per poi gioire in altre valli in fiore.”

Girò il capo verso Rino e prima che il soffio della vita l’abbandonasse disse: “Amor mio, ancor per poco. Sto’ per congedarmi…come fanno gli attori quando lo spettacolo è giunto al termine. Ti aspetterò, là dove tutto non è mai fine. Mio dolce e caro bizzarro Rino.”

Il petto iniziò a manifestare segni di asfissia e i battiti del polso erano irregolari e lenti.

Un colpo di tosse interruppe il suo discorso, cercò di riprendere il fiato e per l’ultima volta prima di congedarsi disse: “Rino… a..mor mi...o.Add…dio.”

Amina mentre cercava disperatamente di accarezzargli il viso, la sua mano scivolò via verso il basso e il suo capo si adagiò sul suo petto. Poco dopo spirò.

Improvvisamente Rino Cavalletta sentì un dolore al petto, come se fosse stato colpito a morte.

Impazzito, iniziò ad urlare ed implorare: “No…Perché? Piccola e sciocca farfalla. Ti prego… resta con me. Come sarà la mia vita senza te. Come farà la valle ad essere priva della tua bellezza e della tua tenerezza”

Cercò di scuotere il piccolo corpicino privo di vita, tenendolo stretto tra le braccia dondolandolo, avanti e indietro, accompagnando quel movimento con un pianto lungo e silenzioso.

Il dolore per la perdita dell’amata Amina era incommensurabile. Rino la riportò all’interno e la posò nuovamente nel letto.

La giovane cavalletta non riuscì più a trovar pace, lui avrebbe voluto morire insieme a lei.

Si sedette a terra tenendosi il capo, per ore. La sua mente cominciò a rivivere tutti i momenti passati insieme, come in una vecchia pellicola di un vecchio film di Zeffirelli.

Il destino fu così crudele con lui, per averlo lasciato solo senza la sua amata farfalla.

Neppure la morte riuscì a scalfire la sua bellezza. Il viso ceruleo e bianco, aveva ripreso il volto del dolce riposo. Ape Gaia e Mantide religiosa piansero ininterrottamente davanti al suo capezzale.

Ape Gaia rimase sconvolta e non poté credere su quanto fosse accaduto. Mantide religiosa su ordine di Rino andò ad informare gli insetti della valle della morte della farfalla.

Il corpicino fu deposto su un fascio di spighe giallo oro al centro del palcoscenico, con a fianco la corona e lo scettro. Rino posò accanto ai suoi piedini una corona di fiordaliso, che emanava un profumo dolciastro.

Con grande tristezza Rino volle ricordare al pubblico presente alla cerimonia che Farfalla Amina sarebbe stata per sempre l’unica reginetta di bellezza di val di Prato.

Gli insetti della valle piansero per la perdita della loro amata farfalla. Rino Cavalletta venne aiutato da Ape Gaia, Dolce Libellula, Vespa nera e Mantide religiosa a trasferire il corpicino su di una grande foglia di fico, ricoperta da petali di rosa canina. Poi s’accostò a lei e la baciò sulle fredde labbra, che non sapevano più di dolce miele. Rino aiutato da alcuni insetti con delicatezza la posarono sul letto del torrente e prima che le dolci onde la portassero via, Rino fu il primo a darle l’ultimo saluto dicendo: “Addio dolce amore mio! Chi mi inebrierà con il profumo di rose romanze! Chi mi darà quei dolci baci …chi danzerà per me! Chi mi farà sorridere, quando sarò triste! Chi riempirà le mie giornate vuote! Chi resterà al mio fianco quando anch’io come te, lascerò questo luogo! Mia bellissima e dolcissima farfalla. Nessun altra prenderà mai il posto tuo. Addio amor mio.”

Rino pianse tanto per la morte della sua bella amata.

Mentre il corpicino di Amina si allontanava sempre più dalla riva, Rino urlò a gran voce: “ADDIO. Un giorno ci rincontreremo e staremo per sempre insieme. Ti amo e ti amerò per sempre. Ora fai un buon viaggio…addio.”

Il corpo di Amina venne trasportato via dalle limpide e fresche acque azzurre dell’impetuoso torrente. Rino Cavalletta prese il suo stradivari ed iniziò a suonare una dolce melodia di Bach in suo onore. Tutti gli insetti della valle, si disposero ai bordi della riva, fino a che non la videro scomparire.

Aforisma: Se congiunto non è con la saggezza, un dono assai funesto è la bellezza.

 

 

 

 

 cHi la Fa l’aSPeTTi

Tanto tempo fa in un’antica oreficeria londinese, lavorava un abile orafo di nome Albert Smith. Una mattina davanti al suo negozio si presentò un ricco signore accompagnato dalla sua bellissima moglie. Il gentil uomo si rivolse all’orafo e disse: “Buon giorno! Desidererei fare un regalo alla mia signora. Vorrei poter visionare qualche parure di diamanti. Spero abbiate qualcosa di raffinato. La informo che non bado a spese!” L’orafo gli mostrò una varietà di gioielli ed esclamò: “Eccoli! Son tutti qua'! Questi sono i gioielli più belli che possiedo. Sono completamente lavorati a mano”

L’elegante signore desiderava avere una collana di diamanti e oro bianco. L’orafo si mise a rovistare nei diversi scafali. L’orafo decise allora di mostrargli due paure in oro bianco, una con diamanti  o zirconi.  Il gentiluomo le osservò accuratamente entrambe, ma fu attratto dall’ultima, ossia da quella di zirconi e decise subito d’acquistarla. Il ricco signore non s’accorgesse della differenza, poiché erano belle entrambe. L’orefice prima di preparare il pacco regalo, le mostrò nuovamente la parure per esser certo della scelta e disse: “ E’ certo della scelta? Questa parure è una tra più belle.  Comunque ottima scelta.”

Il gentil uomo la fece indossare subito alla sua signora. Pagò la parure e insieme lasciarono il portone alle spalle. Messer Smith si mise a saltare per la gioia, pensando d’essere riuscito a truffarli, facendogli pagare la collana di zirconi al prezzo di quella di diamanti. Prese il denaro e lo mise in cassa. A fine lavoro, mentre s’apprestava a chiudere l’oreficeria, si mise a contare l’intero incasso della giornata. L’orafo controllò minuziosamente le banconote guadagnate una per una. Ad un certo punto l’orafo s’accorse che le banconote consegnate dal ricco signore e sua moglie erano false. Incredulo per l’accaduto, si sedette sulla sedia tenendosi il capo disperato. La storia racconta che da truffatore quale era, passò ad essere truffato.

 

Un antico proverbio dice: Chi la fa l’aspetti.


 

 

 l’iMPavidO cavaliere

 

Tanto tempo, fa alla corte di re Ludovico venne consegnata l’investitura di primo cavaliere ad un giovane condottiero di nome Rolando, per il suo coraggio e la sua goliardia, in difesa del regno. Rolando di Borgogna conservava in cuor suo un terribile segreto, ossia, quello di aver timore delle api.

Re Ludovico bandì un proclama. Invitò tutti i dignitari di corte e il suo popolo alla festa del diciottesimo compleanno della figlia Camilla. La grande festa si sarebbe tenuta al castello di Monte Rosato. 

Il banditore di corte su ordine del Re, lesse il proclama nella grande piazza del piccolo paese e a gran voce urlò: “Udite! Udite! gente! Tutti gli abitanti del regno di re Ludovico e della regina Esmeralda sua moglie, sono invitati a partecipare alla festa che si terrà a palazzo, in onore della loro figlia Camilla, per il suo diciottesimo compleanno.”

Il giovane Rolando cominciò a fremere al pensiero di stare accanto alla giovane e bella Camilla. 

Arrivò il gran giorno e l’impavido cavaliere indossò la sua splendida divisa, salì sul suo destriero bianco e si diresse verso il castello. Giunto a palazzo, venne accolto con grandi onori dalla maggior parte dei dignitari di corte e da Re Ludovico. La sala era gremita di gente proveniente da vari paesi limitrofi. Il re si accosto a Rolando, posò la sua mano sulla spalla e con voce silente gli disse: “Messere Rolando, vorrei che lei aprisse le danze insieme alla mia splendida e dolce figlia, Camilla. Lei sà quanto provi nei suoi confronti una grande ammirazione. Approvo con grande onore la sua vicinanza con mia figlia. Per lei, ho dei grandi progetti, mio caro figliolo. Ora vada da lei e la conduca al centro della sala. Apra le danze, così tutti la potranno seguire.”

La musica invase tutta la sala e Rolando con osservanza si inchinò verso la bella Camilla, la prese per mano e la condusse verso il centro della sala, aprendo così le danze. Persino gli invitati presenti nella grande sala iniziarono a seguirli. Dal grande finestrone della sala fece capolino una piccola un ape, che iniziò a ronzare dappertutto, procurando fastidi agli invitati.

Re Ludovico non capì cosa stesse accadendo e preoccupato si avvicinò a Rolando e disse: “Messer Rolando qualcosa non va! Gli invitati sembrano infastiditi. La prego dia un occhiata per cortesia.” Rolando fu costretto a congedarsi dalla principessa. Andò a controllare, ma non vide nulla. Il Re non si dava pace, lo richiamò una seconda volta e disse: “Messer Rolando, la prego cerchi di scoprire cosa sta accadendo nella sala. Sento gli ospiti lamentarsi per qualcosa o qualcuno. Controlli dappertutto! Poi potrà riaprire le danze. Su, ora vada!”

Rolando armato di spada, si mise a perlustrare tutto il castello.   Tutto pareva regolare. Non vide nulla di così preoccupante. Quando ad un tratto accostandosi al grande finestrone della sala per visionare all’esterno, fece capolino una piccolissima ape, che nascosta dietro il grande tendone decise posarsi sul suo naso.

Rolando cercò in tutti i modi di allontanarla, ma non riuscì. La piccola ape impaurita tirò fuori subiti il suo pungiglione e gli punse il naso per paura d’essere uccisa. 

Il giovane cavaliere per il forte dolore cominciò a saltellare per e ad urlare pareva come un pazzo per tutta la sala : “Ohi, Ohi Ohi! Che male…! Uccidetela vi prego! Aiutatemi! Odio questi maledetti insetti!”

Gli invitati non capirono cosa stesse accadendo. Lo videro saltare avanti e indietro, quasi a tempo di danza, restando alquanto sbigottiti per il suo comportamento. Il suo naso iniziò a gonfiarsi a dismisura. L’ape continuò ad inseguirlo dappertutto. Sfinito, uscì frettolosamente dal castello. Per la paura d’essere punto una seconda volta, corse verso la fontana che stava al centro dei grandi giardini imperiali e vi si buttò dentro.  La piccola ape continuò a ronzargli attorno finché non fosse uscito fuori dall’acqua..

Tutti quanti, reali e i dignitari di corte incuriositi uscirono dal castello per capire cosa stesse accadendo. Quando….lo videro dentro la grande fontana lottare contro una piccola ape iniziarono a ridere a crepapelle. Re Ludovico dalla grande vetrata della sala vide uno spettacolo indecoroso. Sbigottito per la misera figura del giovane cavaliere, si posò una mano sulla fronte e disse: “Mamma mia. Non ci posso credere! Quale cavaliere ha mai avuto paura di una piccola ape!”. Poi concluse: “Come potrò mai affidare il mio regno e la mia giovane ed amata figlia, ad un cavaliere, che fugge via per così poco.”

Il giovane Rolando questa volta mostrò a tutti non il suo coraggio ma la sua codardia.

Un antico detto dice: la paura ha la sua utilità, ma la vigliaccheria non ne ha affatto. 

 

 

 

Il giOrnO di naTale


Nel giorno di natale, la città di mille fiori era in festa. Un ricco signore bussò alla porta di un’anziana donna e rivoltosi a lei disse: “Mi scusi per il disturbo, sicuramente non è questo il momento giusto. Ma le potrei chiedere una grande cortesia. Potrebbe offrirmi un sorso d’acqua! Poiché le osterie sono oramai chiuse ed io avrei bisogno di placare la mia arsura.”

La donna si fidò dell’uomo e lo fece accomodare in casa e rivolgendosi a lui disse: “Oggi tutti gli abitanti di mille fiori saranno indaffarati per il gran cenone di natale. Non si preoccupi! Si accomodi la prego. Arrivo subito. Le offrirò un buon bicchiere d’acqua fresca.”

Il ricco signore rimase ad aspettare seduto su una vecchia   poltrona sgangherata e incuriosito si mise a guardare tutt’intorno. La casa era alquanto piccola. Accanto al camino vi era un alberello, addobbato con semplici ritagli di stoffa colorata e dei piccoli mandarini, al posto delle sfere natalizie. Il gentiluomo, rimase ammutolito nel vedere la vecchia felice, nonostante non possedesse nulla. A tenerle compagnia vi era un gatto randagio, dal pelo arruffato e dall’occhio vitreo, che la seguiva per tutta la casa senza lasciarla mai. La vedova andò a prendere uno dei suoi bicchieri più belli, versò l’acqua che aveva raccolto dalla fonte e la portò al ricco signore. S’accostò porgendogli il bicchiere che era colmo d’acqua fresca e disse: “Ecco a voi l’acqua che mi avete chiesto! Mi scusi se l’ho fatta aspettare tanto. Ma volevo offrirle dell’acqua fresca e buona.”

Il gentil uomo assetato, la sorseggiò come se fosse un dono così prezioso e rispose: “La ringrazio infinitamente. In vita mia non ho mai bevuto un bicchiere d’acqua così buono. Come potrei mai sdebitarmi!”

La donna lo guardò e disse: “Lei non mi deve nulla. Che cosa le ho dato!! E’ solo un semplice bicchier d’acqua!”.

L’uomo si sollevò dalla sedia, posò la mano destra sulla spalla della donna e disse: “Lei mi ha dato un dono grandissimo. Da tanto non bevevo un acqua così pulita e saporita. Mentre la sorseggiavo, mi son venuti in mente dei vecchi ricordi della mia infanzia. Quando da bambino andavo al fiume a lanciare i sassolini con i miei amici e bevevo quell’ acqua che ha lo stesso sapore.”

La vedova prese il bicchiere e lo posò sul tavolo. Poi gli mostrò il suo gatto randagio.

La donna iniziò a conversare con lui. Il ricco signore si mise ad ascoltare l’anziana donna con interesse. Decise di restare insieme a lei per farle compagnia. L’uomo impietositosi della sua condizione le volle offrirle del denaro in segno di gratitudine, ma lei rifiutò. Nonostante ciò, senza che la donna si accorgesse, pose sotto l’albero di natale una bustina contenente del denaro. Il signore ringraziò e andò via.

Dopo qualche tempo gli venne in mente di andare a farle visita. Giunto nell’abitazione della donna, bussò alla porta di casa tante volte, ma nessuno aprì.  Venne poi a sapere da una vicina di casa che l’anziana signora era morta. L’anziana donna prima di morire le avrebbe consegnato una busta contenente una lettera da consegnare ad un ricco signore qualora si fosse presentato.  Consegnò la busta contenente la lettera, nella quale lo ringraziava per la compagnia che aveva ricevuto il giorno di natale e il denaro che aveva lasciato sotto l’albero. Il ricco signore non capì la sua azione, ma mantenne nel suo cuore quel dolce ricordo.

Un vecchio detto dice: la cortesia non si paga mai, se fatta con amore.

 

 

l’ USignOlO in gaBBia.

C’era una volta, un piccolo usignolo che stava all’interno di una gabbietta, posta davanti al davanzale d’una grande finestra di un antico palazzo. Una mattina la sua padrona, si scordò di chiudere una finestrella della gabbietta, poiché era troppo indaffarata nel riordino della casa e l’usignolo uscì.

Immediatamente iniziò a volare per tutta la sala. Per la prima volta si sentì libero. La padroncina sentì dei rumori, allora decise di andare a controllare. Pensò che sicuramente i colpi provenissero dal di fuori, così aprì il grande finestrone e si mise a guardare.  Nel frattempo l’usignolo si trovava sotto il tavolo immobile e in silenzio.

La padroncina poco dopo si allontanò scordandosi di richiuderlo. L’usignolo rimase fermo finché la sua padroncina non fosse uscita dalla stanza e poco dopo spiccò il volò.

Libero di volare nel cielo azzurro, iniziò a cinguettare tra i rami degli alberi della grande città. L’usignolo non si rese conto dei tanti pericoli, che avrebbe potuto incontrare.

Giunse la sera, stanco cercò un nido dove poter riposare.  Passarono delle ore e finalmente riuscì a trovare un nido di rondine sopra un grande faggio. 

Il suo pancino iniziò a borbottare per la fame.. Poiché il piccolo usignolo non era abituato a procurarsi il cibo da se e rimase senza mangiare e bere per diverse ore.

Scese la notte e la temperatura iniziò ad abbassarsi ed il piccolo usignolo iniziò ad aver freddo e paura, poiché era abituato a stare al caldo.

Infreddolito, stanco e affamato, pensò d’essere stato sciocco a lasciare la sua padroncina che tanto lo amava e si prendeva cura di lui. Stanco si addormentò in un sonno profondo. Passò accanto al grande faggio un giovane passero in cerca di un riparo, quando  vide il piccolo usignolo riverso col becco all’insù. Incuriosito s’accostò a lui. Gli parve alquanto strano però che un usignolo si trovasse su un nido di rondine.

Allora cercò di smuoverlo col suo becco per accertarsi che fosse vivo. Ma purtroppo si rese conto che l’usignolo non dava alcun segno di vita e tristemente volò via.

Il proverbio dice: la libertà tanto desiderata gli costò più della sua stessa vita.

 

 

 

Il ragno e la zanzara.

Tanto tempo fa, nel giardino di una grande villa abbandonata, una piccola zanzara, si mise a ronzare attorno ad un maestoso cespuglio di mirto in fiore, dove un grosso ragno nero aveva costruito la sua grande tela.

Il ragno la vide passare accanto ed incuriosito le domandò: “Salve a te carissima! Cerchi forse qualcosa o qualcuno!”

L’ingenua zanzara rispose : “Salve a lei signor ragno, mi scusi per il disturbo. Stavo cercando un luogo dove poter giocare con le mie amiche.”

Il ragnò continuava a tessere la sua tela e non la disdegnò d’uno sguardo. La zanzara rimase per lungo tempo ad osservarlo con grande ammirazione e si rivolse nuovamente a lui dicendo: “Perché costruisce la sua tela, proprio sopra questo magnifico arbusto?”

Il ragno con un sogghigno rispose: “Perché!! Perché le sprovvedute come te, potrebbero finirci dentro, senza accorgersene!”

La zanzara stizzita dopo un po’ se ne andò. Il giorno dopo il grosso ragno decise di andare a trovare un amico che non vedeva da tempo. Mentre la giovane zanzara decise di recarsi insieme alle sue amiche nei grandi giardini della villa abbandonata, proprio dove il ragno aveva costruito la sua enorme tela, per divertirsi un po’.

Le piccole zanzare si misero a ronzare felici da una parte all’altra senza preoccuparsi, quando improvvisamente finirono tutte quante avvinghiate nella grande ragnatela del ragno.

Le zanzarine spaventate iniziarono ad urlare e chiedere aiuto, ma nessuno le poteva sentire.

Allora cercarono in tutti i modi di liberarsi, ma non ci riuscirono. Più i loro corpicini si dimenavano, più la ragnatela le imprigionava. Esauste e con le ali oramai rovinate, non si mossero più. 

Poco tempo dopo il ragno arrivò con passo lento e stanco, sino a risalire nell’enorme ragnatela e guardale esclamò: “Oh, oh! guarda, guarda chi si rivede tutta imbrigliata insieme ad altre sciocche zanzarine!! Se non sbaglio t’avevo avvertita di stare alla larga da questo luogo. Sei stata così sciocca da portare persino le tue amiche!”

Poi si avvicinò sempre più a lei e guardandola intensamente negli occhi esclamò: “Povera e sciocca zanzara, non hai ascoltato le mie parole. Oggi farò sicuramente festa. Inviterò molti dei miei amici al grande banchetto. Tu e le tue amiche, farete parte del sicuramente del mio succulento pranzo!” La giovane zanzara pianse per il suo grande errore.

Un proverbio dice: la prudenza non è mai troppa e molte volte la stoltezza castiga chi sbaglia!”

 

 

 

 La FOrMica e il calaBrOne


Una mattina di piena estate, mentre il sole rovente stava a mezzodì, una lunga colonna di formichine nere trasportava dei semi di grano appena raccolti, per poi portali all’interno del formicaio, prima che arrivasse l’inverno. Le formichine laboriose ben organizzate in doppia fila, si passavano l’un l’altro il bottino, appena raccolto. Mentre erano intente nel lavoro, un grosso calabrone un po’ citrullo si presentò dinnanzi a loro con atteggiamento di scherno dicendo: “Buon giorno formichine, che fate?” L’ultima formichina della colonna si voltò verso di lui e rispose: “Mio caro, non vedi! Stiamo raccogliendo dei semi di grano, poiché dobbiamo portarli all’interno del nostro formicaio, prima che arrivi l’inverno, altrimenti sarà difficile trovar del cibo. Le nostre piccole larve potrebbero morire!”

Il calabrone pensò che le piccole formichine fossero sciocche a lavorare proprio in piena estate quando il sole è rovente. Rivoltosi a lei rispose : “Scusa se ti interrompo! Ma per quanto mi riguarda state perdendo solo del tempo prezioso. Oggi è una splendida giornata, perché non lasci tutto e vieni a divertirvi insieme a me al lago Argentato! Potremmo mangiare tutto ciò che ci capita. C’è cibo in quantità. Perché lavorare tanto! Se loro non vengono almeno vieni tu e lascia le altre!!”

La saggia formichina rispose allo stolto calabrone: “Mi dispiace, ma non posso allontanarmi, poiché devo terminare il mio lavoro! Nessuna di noi può lasciare la colonna. Forse quando avrò terminato potrò seguirti. Se però mi rimarrà del tempo.”

La formichina cercò di farlo ragionare e continuò a conferire con lui dicendo: “Perché non ti preoccupi di raccogliere del cibo per l’inverno? Sai che potresti rimanere sprovvisto! Tutto ciò potrebbe causarti dei grossi problemi.”

Il calabrone con atteggiamento sprovveduto rispose: “Stai pur tranquilla, poiché non avrò nessun problema a trovar del cibo. Con la mia forza posso trasportare tanto cibo, quanto tu possa fare in un sol giorno. Poi sinceramente non voglio sprecare il mio tempo a raccogliere del cibo per l’inverno. Come fate voi. Ora preferisco divertirmi.”

La formichina pensò che solo uno sprovveduto avrebbe ragionato in quel modo. Il calabrone si allontanò rimanendo con la sua idea. Mentre le formiche continuarono il loro lavoro per tutta l’estate. Giunse l’inverno, i rami degli alberi erano oramai divenuti spogli, tutto il prato di Serra valle sembrava dormire. Messer calabrone vagò per tutto il prato in cerca di cibo. Disperato ripensò alle parole pronunciate della piccola formica. Inquieto, si mise ad urlare per la rabbia ed esclamò: “Perché, perché sono stato così sciocco!! Se solo avessi dato retta alla piccola formica. Lei ora sarà al riparo, non dovrà certamente preoccuparsi di raccogliere del cibo.”  Il calabrone triste tornò a casa a mani vuote. La piccola storia vuol far capire che la parsimonia è una virtù che consiglia la moderazione e l’economia. Un vecchio proverbio insegna: - chi qualcosa mette via, non spaventa la carestia.

 

 

La gazza ladra.  

Una mattina una anziano contadino rientrò a casa, salutò sua moglie e posò sul comò della sala da pranzo 6 zecchini d’oro, guadagnati per la vendita dell’olio.

Una gazza ladra stava appollaiata sul ramo di un vecchio ulivo proprio davanti alla sua casa. Incuriosita vide un strano bagliore e come impazzita si diresse verso il davanzale della finestra. Senza che i due signori s’accorgessero della sua presenza, la gazza ladra entrò nella stanza e portò via uno zecchino.

Il contadino ritornò nella sala da pranzo per prendersi le monete per mostrarle alla moglie che in quel momento stava in cucina.

Quando s’accorse che ne mancava una. Disperato chiese alla moglie se avesse visto il denaro. La moglie non capì e rivoltasi al marito esclamò: “Che dici? Sei impazzito! Come posso averle viste se tu non mi hai riferito nulla.”

Il contadino sospettoso, pensò che la moglie stesse nascondendo la verità. Il giorno seguente uscì insieme a lei a curar l’uliveto.

I due, prima di uscire si scordarono di riporre le monete all’interno del cassetto del comò.

La gazza ladra rimase sull’albero ad osservare per ore. Quando vide i due allontanarsi, tentò nuovamente il colpaccio, riuscendo così a portagli via altre monete.

Il contadino e sua moglie fecero rientro a casa. La moglie andò a controllare, chiamò subito il marito e gli mostrò le monete rimaste.  I due coniugi dopo una lunga discussione, iniziarono a non fidarsi l’un dell’altro. Decisero allora di restare entrambe a casa per capire chi dei due fosse il ladro. Posarono le monete sul tavolo e rimasero ad aspettare. Passarono le ore e i due coniugi stanchi si addormentarono.

La gazza andò a posarsi sul davanzale della finestra e senza farsi sentire entrò nella casa. Pian pianino si posò sul tavolo, prese le ultime monete rimaste e velocemente scappò via.

Il contadino e sua moglie non si accorsero proprio di nulla. La mattina seguente si svegliarono e videro che le monete non vi erano più. Diffidenti l’uno dell’altro iniziarono a litigare e a lanciarsi sedie, piatti e bicchieri. Mentre la gazza ladra dormiva felicemente nel suo nido, con un grosso bottino.

Aforisma: chi da sciocco ci ha rimesso se la pigli con se stesso.

 

 

CUOcO BaSiliO alla cOrTe di re GiOrgiO. 

C’era una volta un anziano Re, panciuto e con una lunga barba bianca, che viveva in un grande castello soprannominato “Castel Beffardo”. Una mattina il re Giorgio, si alzò molto presto, e in tutta fretta si precipitò nelle cucine del palazzo, per parlare con il suo ben amato cuoco e non lo trovò. Allora, decise di andare a cercarlo nelle stanze della servitù. Entrò nella stanza e lo vide che dormiva beatamente nel suo gran lettone, rannicchiato sotto le lenzuola. Re Giorgio si pose ai piedi del suo capezzale e cominciò a chiamarlo: “Cuoco Basiglio. Su svegliatevi! Ho bisogno parlare con voi. Ho una cosa importante da chiedervi. Si alzi la prego!”

Cuoco Basiglio si svegliò di soprassalto spaventato, pensò fosse accaduto qualcosa di molto grave. Quando spalancò gli occhi vide il suo re davanti ai piedi del letto, con indosso una cuffia di lana bianca con un grosso pompon ed una veste bianca che gli giungeva ai piedi, sembrava un vero fantasma. 

“Che succede Maestà! Perché urla, così forte?”: disse cuoco Basilio. Il re agitato, si mise a parlare così frettolosamente che cuoco Basilio non riuscì a capire.  Re Giorgio cercò di far capire a cuoco Basilio cosa gli fosse accaduto. Si calmò e cominciò a parlare dicendo: “Allora! riprendiamo il discorso. Son venuto a chiedervi un grande favore. Mi ascolti bene. Lei quest’oggi sarebbe disposto a preparare un piatto speciale che possa stupire tutti i miei commensali, poiché oggi arriveranno al castello. Non vorrei proprio deluderli!

Il cuoco sconcertato per la richiesta rispose: “Sire, vi siete accorto che questo ora non è il momento giusto per chiedere qualcosa! Le ricordo che sono solo le 4 del mattino. Avete riposato bene?” Re Giorgio infastidito continuò: “Certamente che ho riposato bene! Anzi benissimo!! Però devo comunicarle che ho fatto uno sogno abbastanza strano. Mi trovavo in una foresta vicino a un altissimo pioppo. Stavo raccogliendo tantissimi funghi rossi e gialli, deliziosi e bellissimi. Li mangiavo con tanto gusto. Per questo motivo, mi sono alzato per domandarvi di preparare un delizioso pranzetto per me e per i miei commensali a corte.”

Il cuoco sentì il suo discorso e meravigliato pensò tra sé che il re fosse impazzito.

Cuoco Basilio con tanta calma rispose: “Mi perdoni, lei sta chiedendo a quest’ora di prepararle delle pietanze particolari! In dispensa non ci sono funghi. Dove posso comprare dei funghi rossi. Si rende conto che non è affatto semplice trovarli.”

Il re cercò in tutti i modi di convincerlo dicendo: “ La prego Cuoco Basilio, son disposto ad aumentare il tuo stipendio. Vorrei fare una bella figura davanti ai commensali? Su!”

Cuoco Basilio si alzò dal letto e compagnò re Giorgio in camera sua. Rientrato in camera si tolse la veste bianca e si preparò per uscire. Decise di recarsi a Bosco Vicino. Camminò per ore, finché giunse in un vasta foresta di lecci, proprio accanto alle alte piante vide dei funghi rossi come quelli descritti dal Re. Cuoco Basilio si inchinò a raccoglierli. Rimase estasiato per la loro bellezza, poiché erano grandi e polposi. Cuoco Basilio fece la strada di ritorno, stanco per il lungo camminare, pensò a voce alta e disse: “Sono stufo d’essere comandato da questo rozzo e pazzo re. Non fa altro che chiedere cose impossibili. Non capisco il perché! Si alza alle quattro del mattino e pretende di avere dei funghi rossi e gialli. Questo è proprio pazzo!” Mentre si incamminava continuava a raccogliere tutti funghi che trovava durante il percorso.  Nel mentre al castello il re passeggiava in su e in giù, aspettando che il cuoco ritornasse, si ripuliva per bene le stanze del suo grosso naso peloso ed attorcigliava i lunghi baffi grigi all’insù e con voce roca mormorò: “Ma quanto tempo deve star fuori. Son passate diverse ore. Se non arriverà in tempo lo caccerò via all’istante!!” Dopo cinque ore cuoco Basilio rientrò a palazzo, mostrò i funghi raccolti al re e spiegò il suo ritardo. Re Giorgio aveva un aspetto goffo e burbero nei modi. Si arrabbiò tantissimo con cuoco Basilio e gli ordinò subito di preparare un succulento pranzetto per gli ospiti. Cuoco Basilio seppur contrariato per il comportamento del re, riuscì a realizzare tutte le pietanze richieste. Sulla tavola regale vennero portate diverse pietanze: zuppa di funghi, abbacchio arrosto, tacchino farcito con delle buonissime spezie, frutta esotica e dei dolci fantastici ricoperti di caramello e frutti di bosco. I commensali vennero fatti accomodare nei posti contrassegnati. Il re rimase estasiato per la bellezza dei piatti preparati da cuoco Basiglio. Mentre i commensali erano seduti a tavola, il re si alzò in piedi, prese la campanella e si mise a suonarla per ben due volte. Felice a gran voce disse: “Diamo inizio alla festa, ben venuti e buon appetito a tutti voi.”  Cuoco Basilio portò a tavola come prima pietanza la zuppa di funghi. I commensali iniziarono ad assaporare l’ottimo cibo e a congratularsi. Nel frattempo si misero a raccontare fatti particolari e a ridere per le fredde battute del re. Ad un certo punto, qualcuno iniziò a lamentarsi per gli odori flatulenti che arrivavano da sotto il tavolo. Qualche invitato iniziò ad accusare dei dolori all’addome. Il re preoccupato s’alzò in piedi e rassicurò gli ospiti: “State tranquilli miei cari, tutto procede bene. Dopo la zuppa di funghi passeremo alla porzione di tacchino all’arancia, con patate con funghi trufolati e poi tante altre pietanze.” All’improvviso persino la pancia del re cominciò a fare degli strani rumori, seguiti da dolori all’addome e maleodoranti puzzette. I commensali iniziarono a guardarsi l’un l’altro sospettosi. Quando all’improvviso non riuscirono più a trattenersi per il forte mal di pancia e sbalzarono dalle loro sedie, precipitandosi tutti quanti fuori dal castello. Non riuscendo più a trattenersi iniziarono a calarsi le braghe e sollevarsi le sottovesti. Finendo così a farsela tutti quanti addosso. Cuoco Basilio che guardava dal grande finestrone della sala, soddisfatto iniziò a sbellicarsi dalle risate. Decise di uscire fuori e di gridar a gran voce: “Funghi e brogli son tutt’uguali, ma li più belli son mortali. Al mio re e a li signori l’ho serviti, son sicuro che se son pentiti e mo’ che li commensali l’han magnati, or sicuramente se son cagati. Ma voi che siete spettatori, che ne pensate de li miei errori. Il re grullo non l’ha capito, che il cuoco l’ha offerto il ben servito. Voi che con me state a guarda, non pensate che non ve possa capità. Or mi dileguo in tutta fretta, poiché se me piglia me fa a porpetta.” 

Un vecchio proverbio dice: chi troppo vuole nulla stringe.”

 


 

L’Aquila e la CiveTTa.

Una mattina in piena estate, una giovane aquila vide da lontano una civetta, che stava sopra un grossa quercia a riposare. L’aquila si avvicinò a lei e le chiese: “Che fai tutta sola! aspetti forse qualcuno?” La civetta rispose con molta calma: “Non aspettò nessuno, Son qui a riposare un po’. L’aquila continuò a fargli delle domande: “Te la sentiresti di fare una gara di volo? Se tu dovessi accettare, la mia condizione è questa! L’ultimo arrivato dovrà offrire un succulento pranzetto. Il percorso sarà lungo e tortuoso.” La civetta accettò la sfida e serenamente rispose: Sono pronta! Quando dovremo iniziare? L’aquila prontamente rispose: “Ora, in questo Preciso momento. Pronto! Tre, due, uno, partenza Via!” entrambe partirono in volo. Durante il lungo volo la civetta accusò un forte dolore all’ala sinistra, allora decise di fermarsi a riposare un po’. Restando molto indietro rispetto all’aquila. L’aquila si voltò e si accorse che dietro di lei non c’era più. Nonostante tutto andò avanti e continuò il suo percorso. Giunse la notte e l’aquila decise di fermarsi a riposare sopra una rupe, prima di arrivare al Monte Limbara.  La civetta nel contempo schizzo in volo e si rimise in viaggio. Per tutta la notte continuò il suo percorso oltrepassando persino la grande rupe, proprio dove stava appollaiata l’aquila. La civetta riuscì a superarla, arrivando per prima alla vetta più alta del Monte Limbara. La civetta stette ferma ad aspettarla. L’aquila riprese il volo e velocemente cercò di giungere al luogo stabilito. Da lontano vide la grande vetta ed esclamò: “Sto arrivando! la vittoria sarà mia!” Felice giunse alla cima più alta del monte, quando ad un tratto vide la civetta sopra un grosso leccio, che l’aspettava. L’aquila incredula capì d’ aver perduto. Nonostante ciò si congratulò con la giovane civetta.

Una vecchia morale dice: “Non basta avere le capacità, ma ci vuole la volontà.”

 

 

 

 La PiccOla ROndinella

Tanto tempo fa in un vecchio casolare viveva una povera vecchina, rimasta sola, dopo la morte del marito. La donna trascorreva la maggior parte del tempo seduta su una panca accanto alla finestra ad ammirare una  giovane rondinella, che tutte le mattine si posava davanti al davanzale della finestra. Un bel dì di Maggio, s’accorse che la piccola rondinella non tornò più a posarsi nel davanzale e s’intristì. Passarono giorni e la piccola rondinella pareva non volesse più tornare. La vecchina aspettò per lungo tempo il suo ritorno. Ma la donna morì e la piccola rondine, che piccola non era più, ritornò in quella casa che aveva lasciato.

Un antico proverbio dice: “Torna la rondinella un dì partita, ma non tornano più le ore della vita.”

 

 

 

 


Il Principe Onofrio.

 

C’era una volta un giovane Principe chiamato Onofrio, che tanto tempo fa ricevette da suo padre re Umberto un grossa somma di denaro, per aver vinto la battaglia contro i mori di Spagna. Il giovane Onofrio lasciò il suo regno, per andare alla ricerca di un nuovo mondo. Salpò in mare insieme alla sua ciurma ed iniziò le sue tante avventure, nei grandi oceani della terra. Onofrio impavido ed astuto condottiero riuscì a conquistare nuove terre. Passarono degli anni ed Onofrio dopo aver circumnavigato per lungo tempo, sentì il bisogno di far ritorno a Val Donato. Re Umberto suo padre oramai giunto a tarda età, consegnò a malincuore il suo regno a Guglielmo suo genero, pensando che il proprio figlio Onofrio fosse morto in qualche battaglia o disperso chissà dove. Un giorno accadde che innanzi alle mura del suo castello si presentò un uomo con la barba e i capelli lunghi, vestito di cenci e con calzari in pelle rovinati dal tempo. L’uomo si pose sotto l’alta muraglia del castello, protetta dalle guardie e poco dopo si mise ad urlare a gran voce: “aprite sono Onofrio! chiamate mio padre. Avvertite che il figlio prodigo è tornato. Riferitegli che son qui ad aspettarlo” Le guardie dall’alto gli intimarono di allontanarsi all’istante. Re Umberto sentì dal finestrone della sua camera delle urla e incuriosito si affacciò. Dall’alto vide un uomo vestito di cenci che sbraitava qualcosa. Decise allora di recarsi nella parte alta del castello a controllare, s’accostò alle guardie e disse: “Che succede? Chi è che urla, a quest’ora?” Le guardie gli comunicarono che in basso vi era un uomo che dichiarava d’esser suo figlio. Allora il re guardò verso il basso per capire chi fosse e disse:” Perché urlate!! cosa volete? chi siete?”  Onofrio abbassò il cappuccio mostrando il viso e disse: “Signore, Padre mio, io sono vostro figlio Onofrio. Non mi riconoscete!” Re Umberto pensò che l’uomo fosse un malfattore e seccato rispose: “Perché dichiarate d’esser figlio mio. Mio figlio è partito verso luoghi lontani, tanto tempo fa. Potrebbe esser morto. Come faccio a credervi!  Vi state forse burlando di me! Io non ho potere, il mio regno oramai è nelle mani di mio genero Guglielmo. Se lo siete veramente, dimostratemelo e sarò ben lieto di riabbracciarvi. Ma se siete un abile bugiardo vi comunico già da ora, che chiederò alle guardie di rinchiudervi nel nelle carceri del castello e vi farò perire di stenti” Onofrio sentendo quelle frasi, si rivolse all’ anziano re chiedendo spiegazioni su chi fosse questo Guglielmo. Re Umberto intristito abbasso il capo e rispose: “Perché mi fate questa domanda! Certamente non spetta a voi, sapere chi sia Guglielmo. Vi comunico che lui è un uomo crudele e spietato. Tempo fa, uccise molti dei nostri soldati ed obbligò la mia primogenita Cecilia a sposarsi con lui, al fine di appropriarsi l’intero regno.”  Onofrio per far capire al proprio padre che non stava mentendo si tolse gli abiti trasandati, rimanendo completamente nudo e rivolgendosi lui disse: “Padre mio, guardatemi! Osservate per bene la macchia rossa che ho nel petto. Ha la forma di un cuore. Riuscite a ricordarvi. Questa è una voglia che ho sul mio petto da quando venni al mondo. Ricordo molto bene quando diceste che la regina madre, desiderò delle fragole.” Re Umberto vide la voglia, ma non convinto, continuò a fargli domande: “Si ma non mi basta” Onofrio con grande dolore rispose: “Perché non mi credete? Ricordate almeno che ho un piccolo grande neo dietro l’orecchiò sinistro?” Il re immediatamente rispose: “Mi volete prender in giro? Molte persone potrebbero avere un neo dietro l’orecchio.” Guglielmo non riusciva a far capire al re che lui fosse realmente suo figlio. Decise allora di raccontargli un piccolo aneddoto: “Vediamo, padre mio se ricordate questo che vi sto per raccontare. Quando avevo poco più di 8 anni, una mattina entrai nella vostra camera e vi trovai in vestaglia. Mentre vi cambiavate d’abito vidi sulla vostra spalla destra una profonda cicatrice. Voi la stavate disinfettando con un unguento rosso e mi diceste che l’avevate procurata in battaglia.” Poi gli mostrò il punto preciso. Il re si ravvide e ordinò immediatamente alle guardie di abbassare il ponte levatoio e di far passare suo Figlio Onofrio. Poco dopo entrò al castello. Suo padre lo riabbracciò forte a se e disse: “Onofrio, figlio mio! Sei tu, mio caro. Ti prego, riprendi il regno e caccia via Guglielmo Re Umberto”  Poi ordinò ai suoi servi di condurre il figlio nelle proprie stanze. Dopo essersi rimesso a nuovo, si presentò negli alloggi del castello. Guglielmo non fu mai informato della sua esistenza. Quando Onofrio si presento nella grande sala del trono lo vide seduto con a fianco i servitori che gli versavano del vino rosso su una coppa d’oro Onofrio infuriato si rivolse a lui e disse: “Sono arrivato in tempo a riprendere quanto mi spetta di diritto, mio caro Guglielmo. Io sono Onofrio, figlio legittimo di re Umberto. Non sono morto come tutti pensavano.” Guglielmo si alzò in piedi e con atteggiamento di sfida si avvicinò ad Onofrio e rispose: “Chi sei! Ma guarda un altro imbroglione che dice di essere figlio di re Umberto! Forse non ti hanno riferito che il vero padrone ora sono io! Ti comunico che il tuo amatissimo padre qualche tempo fa ha perso in battaglia. Pertanto le proprietà son passate nelle mie mani. Tu non puoi arrogarti il diritto di riappropriarti di una cosa che non è più tua.” Onofrio si avvicino a lui e rispose:” Io sono il figlio di re Umberto. Mi dispiace contraddirvi. Tutto questo tornerà nelle mani di un unico proprietario.” Guglielmo si infuriò, estrasse la spada fuori dal fodero e iniziò a colpirlo.

Onofrio con gran velocità balzò sul tavolo, passando poi dalla parte opposta riuscendo a prendere una delle spade che stavano appese sopra il grande camino. Il padre entrò nella grande sala li vide combattere. Preoccupato cercò di fermarli, ma non riuscì. I due continuarono a darsi di spada, fino ad uscire all’ esterno del castello per poi fermarsi al centro del grande cortile. Onofrio abile ed astuto, combatté con tutte le sue forze come un vero condottiero. Guglielmo si trovò in difficoltà e con la mano sinistra lanciò sugli occhi di Onofrio una manciata di terra. Poi lo colpì a tradimento al fianco destro.

Onofrio nonostante fosse ferito e non riuscisse a vedere, sentì i suoi passi avvicinare e con velocità prese la spada che aveva accanto e lo colpì al petto. Guglielmo cadde a terra morto. Onofrio prese il suo corpo, lo sollevò verso l’alto come trofeo e vittorioso si rivolse al popolo dicendo: “Ecco a voi il corpo di Guglielmo. Val Donato ora è libera.” Onofrio consegnò il regno a suo padre Umberto. Re Umberto lo ringraziò il figlio davanti al popolo. Finalmente l’intero paese fu liberato dai soprusi e dalle angherie. Val Donato riprese a vivere.

 

 

 


Il RiccO e Il PoVerO.

Una mattina, un ricco signore aspettava l’arrivo della sua giovane amata seduto su una panca dei grandi giardini romani. Un mendicante gli si avvicinò a chiedergli del denaro. Infastidito per la sua presenza rispose: “Mi scusi, se ne vada! Chieda a qualcun altro! Non mi disturbi più per cortesia, altrimenti sarò costretto a chiamare i gendarmi”

Il pover uomo chinò la testa e scusandosi se ne andò. Passarono gli anni e giunti entrambi in tarda età morirono. Il fato volle che entrambe morirono lo stesso giorno e alla stessa ora. Le anime dei due signori si presentarono innanzi a S. Pietro in paradiso. Il ricco signore si presentò con abiti eleganti, tanto da sembrare un lord inglese. Mentre il povero uomo indossava abiti vecchi, trasandati e lerci. S. Pietro li fece accomodare entrambe su due poltrone di nuvola. Poi chiese loro come fosse stato il proprio comportamento in vita. Il ricco signore, senza remore, rispose: “Penso di essere stato un uomo corretto. Ho lavorato sodo. Ho ottenuto una buona posizione sociale. Ho vissuto nel benessere e nella gioia. I miei figli hanno goduto di ciò che ho dato loro. Grazie a me son stati felici. Ho dato una buona educazione, hanno potuto studiare e ora anche loro hanno un ottima posizione. Ho rispettato mia moglie. Non mi pento di quanto ho fatto. Penso di essermi comportato nel giusto.” Il povero chinò la testa e rispose: “Io non sono stato corretto verso la mia famiglia. Però l’ho amata più di ogni altra cosa al mondo. Mi sono impegnato, per quanto ho potuto. Son vissuto nella povertà, non mi vergogno di dirlo. Mi son sposato, ho amato mia moglie e i miei 7 figli. Mi son dovuto arrangiare. Ho fatto i lavori più umili per poter dare loro un pezzo di pane. Ho elemosinato, rubato e imbrogliato per fame. Perciò son consapevole di aver commesso tanti errori.” S. Pietro ascoltò le risposte di entrambe. Poco dopo si rivolse al ricco per fargli la seconda domanda e disse: “dimmi un po’! Hai mai aiutato qualcuno, quando ne aveva più bisogno, senza chiedere in cambio nulla, per amore del prossimo? Il ricco prontamente rispose: “Se devo essere sincero, ho fatto dei favori ad amici che hanno sempre contraccambiato. Ma ho sempre cacciato via mendicanti, ladruncoli, barboni. Mi infastidiva la loro presenza. Venivano davanti a me lerci e maleodoranti.

Ho sempre pensato che fossero degli imbroglioni e scansafatiche. 

Io ho sempre lavorato con onestà, mi son rimboccato le maniche, per far sì che la mia famiglia stesse bene. Per me loro son dei parassiti.” San Pietro rivolse la stessa domanda al pover uomo. Il mendicante rispose: “Si, mi è capitato più volte, nonostante non possedessi nulla. Ho sempre pensato che altri potessero avere più bisogno di me, come io di loro. Ho sempre offerto quel poco che avevo.

Alcuni li ho ospitati nella mia umile casa, anche se molto piccola.” San Pietro fece una terza domanda: “chi di voi pensa di ottenere un posto in paradiso!” Il ricco signore con convinzione rispose: “Se posso, essendo stato in vita un abile giudice, direi che il paradiso dovrebbe meritarlo chi è stata una persona retta e giusta. Penso di aver seguito le regole e di non aver fatto male mai a nessuno. Non ho ucciso o rubato. Ho rispettato la mia famiglia nell’onore.

Ho educato e cresciuto i miei figli nel rispetto. Penso di meritarmelo.” Il pover uomo, invece, rispose: “Io non posso dire altrettanto. Penso di non essere meritevole. Io non ho fatto nulla di buono nella mia vita. Ho sempre infranto le regole. Sono stato un ladro e un malfattore. Anche se ho rispettato la mia famiglia, in qualche modo l’ho fatta soffrire.

Consegnate a lui le chiavi! Io non sono degno.” San Pietro dopo aver sentito tutte le risposte, decise di aspettare un po’ prima di consegnare loro le chiavi. Il ricco signore si mostrò felice mentre il povero triste teneva la testa china verso il basso.

S. Pietro li guardò entrambe e disse: “Vi farò un ultima domanda signori! Chi di voi ricorda un episodio accaduto tempo fa, nei grandi giardini romani! A voi non pare strano, che entrambe siate qui, nello stesso giorno e alla stessa ora.

Si ricorda che lei stava seduto ad aspettare la sua giovane amata, che poi è divenuta sua moglie. Ricorda ancora che le passò accanto un pover uomo per chiedergli del denaro per comprare del cibo e portarlo ai suoi piccoli bimbi.” I due fecero memoria e si guardarono l’un l’altro.

S Pietro continuò il suo discorso e disse: “chi di voi è stato fratello nei confronti dell’altro?” Solo una chiave poteva aprire la porta del paradiso. Entrambe inserirono le chiavi nelle porte. S. Pietro ordinò ad entrambe di aprirle contemporaneamente.

Il povero aprì molto lentamente e in lontananza vide un immensa luce bianca. Quella era la porta che l’avrebbe condotto in Paradiso. Mentre il ricco signore in lontananza vide un antro buio, che l’avrebbe condotto all’inferno. Un vecchio detto dice: “Meglio in paradiso stracciato che all’inferno ricamato.

 


 

Il GUFO delle nevi e la SciOcca Oca

 

Una mattina fresca e soleggiata, un giovane gufo bianco delle nevi stava seduto su un enorme salice ad osservare la valle, mentre un gruppo di oche selvatiche si dirigeva verso lo stagno della Valle Argentea. L’ultima della fila incuriosita alzò gli occhi verso l’alto e vide lo strano gufo muoversi e ruotare la testa in avanti e in dietro battendo i suoi grandi occhi gialli. La piccola oca meravigliata per la bellezza del suo piumaggio rimase incantata a guardarlo. Lasciò la fila e s’accosto a lui. Incuriosita disse: “Perché stai qui tutto solo? Noi oche non stiamo mai sole. Vorresti venire con noi?” Il gufo la guardò e rispose: “Non pensi di far delle domande sciocche? Perché dovrei venire con voi! Lo sai che dovresti stare lontana da me. Noi due non abbiamo nulla in comune.” L’oca non capì e continuò: “vedi noi staremo qui solo per poco tempo, poi andremo via. Volevo chiederti se volessi stare insieme a noi e fare amicizia. Perché non vieni a giocare? Perché non rispondi? Sei forse muto?” Rimase ferma ad osservarlo aspettando che il gufo le potesse dare una risposta. Il gufo la lasciò starnazzare. La sua grossa testa dondolava avanti e indietro e i suoi occhi grandi si aprivano e si chiudevano continuamente. Il gufo rimase fermo ore ed ore sempre nella stessa posizione. All’improvviso puntò lo sguardo feroce verso la giovane preda, si sollevò in volo e si cagliò contro di lei afferrandola con i suoi grossi artigli.  La portò con se sopra le alte vette della montagna nevata. La giovane ed ingenua oca non capì cosa stesse accadendo. Certa che il gufo la portasse con lui per fare un bellissimo volo e finalmente stare insieme per divertirsi. Il gufo giunto nella vetta più alta si posò sul nido, aprì le sue grandi ali, la avvolse completamente e se la mangiò.

Aforisma dice: Mai fidarsi delle apparenze.

 

 

 

Un Padre e i Suoi Tre Figli

Si racconta che tanto tempo fa un uomo in punto di morte convocò d’innanzi a se, i suoi tre figli maschi. L’anziano per metterli alla prova si mise a far domande e rivolgendosi a loro disse: “Figli miei vi ho chiamato, al fine di capire chi di voi abbia appreso i miei insegnamenti. Però! vorrei che entraste nella mia stanza, uno per volta.” Chiamò per primo il figlio più grande e rivoltosi a lui disse: “Figlio mio, cosa chiederesti alla vita per poter avere la felicità?” Il primogenito rispose: “La ricchezza padre mio! Io penso che con il denaro potrei avere tutto ciò che desidero.” Il vecchio rispose: “Figliolo caro, capisci che la ricchezza non potrà mai darti la felicità. Non credi che la salute sia più importante della ricchezza che tu desideri di avere? Tu potrai avere tutto l’oro del mondo, ma se tu non hai la salute non potrai mai possedere nessuna ricchezza. Accontentati del poco e avrai molto di più di quanto tu possa pensare!” Chiamò a se il secondo genito e disse: “Tu figliolo caro cosa vorresti dalla vita?” Il secondo figlio rispose: “Io padre mio, dalla vita vorrei avere il piacere e il godimento delle cose. Penso che sia il sommo bene! Amo i divertimenti, le belle donne e i piaceri del cibo, tutto ciò che mi renderebbe felice. Non pretendo altro.” Il padre sentendo quelle parole rispose: “Taci Figlio! Sei veramente sicuro che il piacere sia la soluzione migliore per star bene! Attento!! Perché il piacere come la ricchezza, non dà il bene assoluto. Ricchezza e piacere sono legate tra loro, ma non ti daranno mai la felicità che cerchi.” Il vecchio si intristì per le risposte date dai due figli maggiori. Pensò di aver sbagliato in qualcosa. Decise allora di far entrare l’ultimo dei tre fratelli. Preoccupato pensò che anche il terzo figlio avrebbe risposto allo stesso modo, come i suoi fratelli e si intristì. Decise comunque di fare la stessa domanda anche al terzo e disse: “Vediamo un po’ figliolo caro. Tu sei il più piccolo dei tuoi fratelli. Dimmi un po’! Tu cosa vorresti dalla vita? Pensaci bene, prima di rispondere. Vediamo come ragiona l’ultimo dei miei figli maschi.”  Il terzo figlio non capì e tranquillamente rispose: “Padre non capisco perché mi facciate tale domanda. Io son del parere che nella vita la salute sia la cosa più importante.” “Perché la salute e non la ricchezza o i bagordi, figlio mio!” esclamò il padre. “Perché senza la salute non potrei avere nient’altro dalla vita. Come potrei lavorare, guadagnare soldi, vivere dignitosamente, formare una famiglia e divertirmi insieme alla mia amata e ai miei figli, se io non sono forte e sano. Con la salute potrei fare qualsiasi cosa. La ricchezza non serve se son malato. I bagordi non servono se non ho la salute e i soldi” Rispose l’ultimo figlio. Il padre gli rispose: “Ma con la ricchezza puoi farti curare.” Il figlio rispose subito dicendo: “Nessuna ricchezza potrà mai curare un grosso male.” L’anziano felice si rivolse al giovane e disse: “Bravo figlio mio! Sapevo che tu saresti stato il più saggio dei tuoi fratelli. Essi hanno preferito la ricchezza e il piacere. Purtroppo non hanno compreso che solo con la salute si possono avere ricchezza, piacere e la vita stessa.” Il padre rimase soddisfatto della risposta del suo ultimo figlio.

Dopo qualche giorno l’anziano morì e lasciò tutti i suoi beni all’ultimo dei tre figli, sicuro che sarebbe stato il più saggio tra tutti a gestire il suo patrimonio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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